A PROPOSITO DI CHARLES DARWIN
Sara Capogrossi Colognesi (Boiler.it)
Fonte: ACAM
11/03/2016 18:03:05
TUTTI D'ACCORDO: Darwin è il padre della teoria dell'evoluzione.
Il
naturalista inglese che di ritorno da un viaggio intorno al mondo con la
Beagle, nel 1859, scrive On the Origins of Species by Means of Natural
Selection, è il primo a elaborare quella che ancor oggi è considerata
la
spiegazione fondamentale dell'evoluzione biologica. Ma che ne è stato
da
allora di questa teoria? Le intuizioni di Darwin, seppure geniali, mancano
di conoscenze fondamentali, la cui assenza rende la teoria incompleta e
carente. Non c'è, innanzitutto, una convincente spiegazione del meccanismo
di ereditarietà. La selezione naturale, infatti, 'sceglie' i caratteri
vincenti e ne favorisce i portatori, ma come nascono queste differenze, in
che modo vengono trasmesse alla prole? Darwin si limita a supporre che i
figli ereditino caratteri intermedi tra quelli dei genitori, una soluzione
carente, che mal si accorda con la sua idea di selezione naturale. Si
fanno, dunque, largo teorie alternative, prima fra tutte quella della
"mutazione diretta", secondo la quale la prole, per qualche oscura
ragione
collegata al meccanismo di ereditarietà, tende a differenziarsi dai
genitori in una direzione specifica. E l'ereditarietà lamarkiana (da
Jean-Baptiste de Lamarcke , che introdusse per primo il concetto di
selezione naturale) dei caratteri acquisiti appare come uno dei motori
principali di questa differenziazione. Persino Darwin accetta tale idea per
spiegare parte dei cambiamenti che si verificano.
Un incontro rimandato
Quello che Darwin ignora è in realtà a sua portata. Nel 1865,
infatti, alla
Natural Sciences Society un monaco tedesco presenta due letture molto
interessanti, pubblicate l'anno successivo sui Proceeding della stessa
società. Quelle che Gregor Mendel enuncia e che vengono accolte
tiepidamente o del tutto ignorate dal mondo scientifico sono le leggi che
descrivono la trasmissione dei caratteri ereditari da una generazione
all'altra. Purtroppo solo nel 1900 vengono riscoperti i risultati di Mendel
e, alla luce delle nuove conoscenze sui cromosomi, viene formulata la
teoria cromosomica dell'ereditarietà. È tempo per una riconciliazione
tra
la teoria "atomistica" mendeliana della genetica con la descrizione
"biometrica" darwiniana di una variazione continua nelle popolazioni
reali.
Il percorso si compie attraverso diversi autori e in vari stadi, ma in un
articolo di Ronald A. Fisher del 1918 si trova la dimostrazione che tutti i
risultati del processo continuo descritto da Darwin possono esser fatti
derivare dai principi mendeliani. È lo stesso Fisher (The Genetical Theory
of Natural Selection, 1930) e, indipendentemente, John B. S. Haldane (The
Causes of Evolution, 1932) e Sewall Wright (Evolution in mendelian
populations, 1931), a completare il lavoro speculativo che porta alla
sintesi della teoria darwiniana della selezione naturale con quella
mendeliana dell'ereditarietà: nasce il neo-darwinismo, o teoria sintetica
dell'evoluzione. Si stabilisce che la selezione naturale agisce sulla
normale variabilità delle popolazioni selvatiche, che seguono le leggi
di
ereditarietà mendeliane.
Non solo selezione
Ma anche questa visione deve essere aggiornata alla luce dei progressi
compiuti tra gli anni Trenta e Cinquanta nel campo della genetica delle
popolazioni e dello studio dei processi evolutivi: si arriva alla sintesi
moderna. La variabilità sorge (mutazioni) e si propaga (ricombinazione)
spontaneamente e casualmente all'interno di una popolazione, senza una
precisa direzione adattativa. Le popolazioni evolvono attraverso
cambiamenti nelle frequenze geniche promossi dalla deriva genetica, dal
flusso genico e soprattutto dalla selezione naturale. La maggior parte
delle mutazioni genetiche si riflette debolmente (o affatto) sul fenotipo,
che cambia quindi gradualmente (se non in alcuni casi particolari). La
diversificazione avviene attraverso la speciazione, che di norma prevede la
graduale evoluzione di un isolamento riproduttivo tra diverse popolazioni.
Simili processi, nel tempo, portano a cambiamenti importanti che si
riscontrano tra gruppi di livello tassonomico maggiore (generi, famiglie e
così via). Come si vede, rispetto al pensiero darwinista, ci sono
importanti innovazioni, che riguardano soprattutto l'introduzione di un
concetto quale la deriva genica, fondamentale quanto la selezione naturale
nei processi evolutivi. Per non parlare di geni e alleli, ignoti a Darwin,
ma che oggi sono elementi imprescindibili della teoria evolutiva.
Geni alla deriva
Se i geni fanno ormai parte del vocabolario comune e la selezione naturale
è un concetto intuitivo con cui la gente ha imparato a familiarizzare,
minor fortuna è toccata alla deriva genetica: un'idea che ha a che fare
con
principi di matematica e statistica. In realtà il meccanismo è
piuttosto
banale e meriterebbe una maggiore diffusione anche presso un pubblico di
non esperti. In pratica si calcola che a ogni generazione il riassortimento
genetico durante la meiosi (formazione delle cellule sessuali) può alterare
le frequenze alleliche (le forme alternative di un gene). Se la popolazione
è sufficientemente grande e la prole numerosa, il processo tenderà
a non
avere effetti significativi. Se invece la popolazione è ridotta i risultati
potrebbero essere rapidi e drastici, fino alla scomparsa definitiva di un
allele dal gruppo evolutivo.
Alcuni eventi possono influenzare la frequenza genica della popolazione,
accelerando ed enfatizzando gli effetti della deriva genica. 'Colli di
bottiglia' ed 'effetto del fondatore' possono determinare il destino di un
raggruppamento animale. I primi descrivono una riduzione drastica nel
numero di organismi che compongono una popolazione, determinato da un
qualche evento catastrofico, il secondo concetto si riferisce a situazioni
in cui un piccolo gruppo si diparte da una popolazione più ampia
costituendone una nuova, che però ha una variabilità assai ridotta
rispetto
alla prima. L'effetto del fondatore è il probabile responsabile delle
caratteristiche genetiche degli indiani americani (i cui antenati
arrivarono nel continente in esiguo numero, attraverso lo stretto di
Bering, circa 10 mila anni fa) o degli Amish e altre sette fondate da pochi
emigranti e mantenutesi isolate rispetto alla popolazione locale. A un
collo di bottiglia di fine Ottocento si deve invece l'omogenità genetica
dei ghepardi. Ridottasi a meno di 20 esemplari verso il 1830, la specie ha
ormai raggiunto quota 30 mila individui, ma la variazione genetica è
minima.
Certezze? poche ma buone
Oggi le maggiori controversie inerenti la teoria evolutiva (tralasciando i
delirii dei creazionisti, che di scientifico hanno ben poco) riguardano il
concetto di gradualità. Molti studiosi ritengono, fossili alla mano,
che
l?evoluzione non procede lenta e costante: i reperti mostrerebbero lunghi
periodi di stasi seguiti da repentini (geologicamente parlando) eventi di
trasformazione. Questo è il cosiddetto modello degli equilibri puntuati
(o
intermittenti), proposto nel 1972 da Stephen Jay Gould e Niels Eldredge. Si
spiegherebbe così l'osservazione di specie che non cambiano quasi mai
(gli
squali sono sostanzialmente identici a quelli apparsi negli oceani 400
milioni di anni fa) e altre che invece sembrano comparire all?improvviso.
La teoria inizialmente ha avuto vita dura, osteggiata da numerosi biologi
evoluzionisti, che mal sopportavano l'intrusione di due paleontologi nel
loro campo.
Trent'anni dopo, gli studiosi ancora si interrogano e discutono 'anche
animatamente' su questa idea rivoluzionaria, che ha comunque dato il via a
un rinnovato interesse nella macroevoluzione, l'analisi dei cambiamenti
evolutivi su vasta scala, esaminati sulla base di un tempo geologico. Se
Mark Ridley, uno dei maggiori evoluzionisti dei nostri giorni, si schiera
decisamente al fianco di Gould (recentemente scomparso), altri nomi
autorevoli 'come John Maynard Smith e Richard Dawkins' entrano in
polemica con il paleontologo newyorkese, cui si rimprovera, tra l'altro, di
"gettare zizzania" tra gli evoluzionisti, lasciando spazio a chi ancora
si
oppone all'idea che discendiamo dalle scimmie. Perché malgrado i progressi
della scienza dal 1859 a oggi e malgrado scoperte come quella di Toumaï
,
c'è ancora chi si ostina a negare l'evidenza.