UNA GHIANDOLA CHIAMATA GRAAL (I)
Alessandra Devana D'Elia (auraweb.it)
Fonte: ACAM
11/03/2016 17:37:21
L'INTUIZIONE
Tutti noi abbiamo sentito quella storia che racconta come Dio
volle
nascondere la regalità e l'illuminazione dell'uomo nell'unico posto dove
egli non le avrebbe potute trovare. Ma non in fondo agli oceani, ai vulcani,
o sulle cime delle montagne più alte, come gli consigliavano dei o angeli
a
seconda della provenienza di questa favola universale.
Dio la nascose dentro all'uomo perché lì era sicuro
che lui non l'avrebbe
mai cercata.
Il graal non soltanto è dentro di noi (e questo sarebbe
perfettamente in
linea sia con la teoria secondo la quale noi siamo piccoli universi, sia con
il postulato "come nel grande così nel piccolo"... Trismegisto
docet) ma è
un ben preciso organo, anzi una ghiandola: non un simbolo o un archetipo ma
un corpuscolo vero, fatto di "materia".
LA COPPA DELL'ETERNA GIOVINEZZA
Prima di svelarvi di quale ghiandola si tratti, vi chiedo di
seguirmi nel
seguente ragionamento.
Il graal si dice sia una coppa, però nessuno lo ha mai
visto. E' noto,
tuttavia, che chi beve dal graal ottiene l'eterna giovinezza, la guarigione
da tutte le malattie e l'illuminazione. In definitiva, al di là della
sua
forma reale, il graal è sicuramente un contenitore che porta in sé
un
liquido in grado di offrire tali doni a chi lo beve.
Ma noi abbiamo nel nostro meraviglioso corpo proprio un piccolissimo
contenitore dal quale possiamo "bere" un liquido di questa portata.
Si
tratta della ghiandola pineale, un corpuscolo grande come una lenticchia, a
forma di cono (quindi ricorderebbe una minuscola coppa), situata alla base
del nostro cervello (quindi dentro di noi come racconta la storia citata
all'inizio dell'articolo). La ghiandola pineale - o epifisi in gergo
scientifico - produce, tra l'altro, la melatonina, un ormone prodigioso le
cui caratteristiche sono state scoperte solo di recente ma che ricordano
incredibilmente quelle del liquido contenuto nel graal.
La melatonina viene elaborata dal corpo nel periodo notturno,
durante il
quale la ghiandola raggiunge il massimo della sua attività. Proprio di
notte
sappiamo bene che la conoscenza intuitiva e le nostre facoltà più
sottili
emergono e "si impossessano di noi".
Descrive Laurence Gardner in "I Signori degli Anelli"
(Newton Compton Ed.)
"... la melatonina esalta e rafforza il complesso del sistema immunitario
del corpo, accresce la produzione di energia fisica alzando il livello di
sopportazione della fatica, regola la temperatura interna contribuendo a
un'ottimale gestione del sistema cardiovascolare ed è per eccellenza
la
sostanza antiossidante del corpo, con effetti evidenti sui meccanismi
antinvecchiamento e sulla mente, sviluppando facoltà paranormali".
Ecco dunque che chi beve le secrezioni contenenti melatonina
dalla ghiandola
pineale diventa "immortale" (effetto antinvecchiamento e rafforzamento
del
sistema immunitario) e ottiene "l'illuminazione" (aumento delle facoltà
paranormali, dell'intuizione e altro). Il piccolo cono, dunque, come la
coppa graaliana, elargisce questo succo miracoloso: ma come fare a berlo?
Jasmuheen, una dolcissima donna australiana che dal '93 si astiene
dal cibo,
nei suoi seminari, dove spiega tra l'altro come vivere nutrendosi
esclusivamente di "luce liquida", racconta che è possibile
"bere" la divina
Amrita, come viene chiamata nella tradizione sanscrita, ovvero la secrezione
che scende come una piccola goccia stimolando, con la lingua arrotolata
all'indietro, il palato verso l'epiglottide, guarda caso proprio sotto la
ghiandola pineale. Forse l'Amrita, l'ambrosia degli dei, il nettare divino,
non è nient'altro che la secrezione di cui abbiamo parlato, ovvero quella
contenente melatonina.
Se così fosse, ognuno di noi avrebbe in sé la
chiave della longevità e della
riscoperta della propria sovranità, e potrebbe accedervi in ogni momento,
semplicemente arrotolando al massimo la lingua verso l'epiglottide e
aspettando che fuoriesca una piccola goccia che sembra muco.
Ma proviamo a vedere se nella tradizione graaliana vi sono altre
prove che
ratifichino tale ipotesi.