Conflitti endemici, “soluzione” pandemica?

Virus e Finanza #4

In seguito al ritiro da parte degli USA dall’accordo sul nucleare (il JCPOA – Joint Comprehensive Plan of Action) e al ritorno alle sanzioni nei confronti dell’Iran, la relazione tra occidente e il paese islamico si è fatta sempre più instabile. Europa e Stati Uniti si stanno chiedendo cosa può succedere: una nuova guerra? Il tentativo di cambiare il regime attuale nel paese? E se gli USA si sono ritirati dall’accordo, cosa farà l’Europa? E l’Iran? Nessuno sembra saperlo con certezza ma nell’esplorare le varie possibilità non si può fare a meno di notare che al momento l’unico paese a non dare segni di nervosismo è proprio l’Iran. Tanto Teheran quanto Washington stanno premendo sull’Europa per spingerla a prendere una decisione precisa: rompere l’alleanza con gli USA oppure tentare di frammentarla per poter diminuire il suo “peso specifico” sull’arena internazionale.

Da parte sua l’Iran sembra aver stabilito un “equilibrio di terrore” nella zona mediorientale, nel senso di essere consapevoli che gli USA potrebbero attaccare in qualsiasi momento ma con il rischio che anche Washington possa essere colpito in uno dei tanti punti di interesse consolidati dopo anni di presenza armata.

Si è quindi in una situazione di stallo, ma solo apparente. Infatti, mentre in origine vi era solo l’eterno conflitto tra Israele e Palestina, oggi l’onda d’urto bellica si è divisa in più parti: vi sono guerre in Yemen e Siria, il Libano vive una situazione molto instabile quasi quanto l’Iraq (vedi l’Effetto Babel), per non parlare di Libia ed Egitto, con la Turchia pronta ad esplodere. Ma questi conflitti non hanno respiro locale, anzi sono ingigantiti dalla pressione continua di superpotenze come Stati Uniti, Russia e, in modo diverso, Cina.

Questo ha fatto sì che si formassero due fronti, come era prevedibile: uno anti-Iran – formato da Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita, Emirati Arabi e forse Egitto – e l’altro iraniano con i suoi alleati satellite come Yemen, Siria, Iraq e l’Hezbollah. Questi due fronti recentemente hanno dimostrato di essere molto fluidi, di potersi espandere non solo a tutto il Medio Oriente ma anche al nord Africa.

Quest’anno la comparsa del “virus” Corona ha provocato un effetto che in passato Colera, Spagnola, SARS e MERS (anche queste ultime classificate come Coronavirus, rispettivametne Sarbecovirus e Betacoronavirus) non erano riusciti ad ottenere: il blocco totale della società globalizzata ad ogni livello e settore (vedi La Lunga Marcia). Non il blocco dell’economia, non il blocco politico e mai quello militare. Questi tre settori avanzano spediti come il virus stesso, invisibili e in maniera progressiva, con il vantaggio che la società civile, paralizzata e ridotta a unità familiari slegate, fa sì che non ci sia poi tanta pressione, e i maggiori gruppi finanziari possono riprendere fiato, ricalibrarsi, rigenerarsi.

Nel mio video sulla geopolitica di qualche tempo fa (COVID-19 – CAT-Bonds e pandemia costruita) parlavo di come era fondamentale osservare la strumentalizzazione del “virus” in Medio Oriente e Africa che, mentre invadeva l’Europa soprattutto attraverso i media, e ora sta causando il panico in USA, latitava stranamente nei paesi al di sotto del 40mo parallelo, cosa quantomai singolare se si pensa all’elevato numero di cinesi presenti in quelle zone. Oggi, a circa un mese di distanza, viene confermata la mia tesi sull’inconsistenza dell’attribuzione alla Cina della paternità del Coronavirus, tanto in origine quanto in contagio, in quanto più o meno si è fatto in modo che il COVID-19 fosse segnalato un po’ dovunque.


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