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Seculum Obscurum rivelato II
LA TOMBA DI CARLO MAGNO A SAN CLAUDIO?
01/01/2017 17:59:48
PREMESSA
Il presente articolo si basa sulle pubblicazioni, a cura del Centro Studi San Claudio al Chienti, de “Il ritrovamento della tomba e del corpo di Carlo Magno a San Claudio” (2013) scritto da Giovanni Carnevale in collaborazione con Alberto Morresi, integrato dal recente “Il Piceno da Carlo Magno a Enrico I” (2016) scritto da Giovanni Carnevale e Domenico Antognozzi, oltre che sugli incontri tra il Gruppo The X-Plan e il Prof. Carnevale, che da quasi trent’anni porta avanti la teoria della collocazione della Francia e della Sassonia, nel Piceno.
Tale teoria nel corso degli anni ha trovato sempre più conferme specialmente nei toponimi della zona della Val di Chienti, ma anche a nord del fiume Musone e soprattutto nella traduzione di testi storici di personaggi contemporanei all’epoca carolingia, il più importante dei quali è finora Widukind von Corvey, le cui cronache abbiamo introdotto nel primo articolo della serie SECULUM OBSCURUM RIVELATO.
Tale serie di studi ha portato all’idea, condivisa dal Gruppo The X-Plan che ne sta curando l’approfondimento e la divulgazione, che la dinastia carolingia sia nata proprio nel Piceno. Aquisgrana, il Palatium, la Cappella Palatina, Saint Denis e gli altri luoghi che ci sono stati tramandati dai biografi di Carlo Magno non possono essere collocati dove li colloca la storiografia ufficiale (tedesca), cioè ad Aachen (Aquisgrana) o Parigi (Saint Denis) e non solo perché milleduecentoanni fa non si potevano attraversare le Alpi in pieno inverno in una settimana, dalla Germania alla Francia, né visitare un imperatore ad Aquisgrana e poi rientrare a Saint Denis il giorno dopo.
Al di là della logica, esiste la testimonianza latina di chi quegli eventi li ha vissuti e li ha registrati perché non potessero essere dimenticati. Forse al tempo della stesura degli MGH, Monumenta Germaniae Historica, non si era pronti ad accettare l’idea che buona parte della storia d’Europa (L’Alto Medioevo, dalla fine dell’Impero Romano al regno Normanno) fosse circoscritta ad un territorio tanto piccolo quanto periferico; ma oggi, grazie al lavoro instancabile del Professor Carnevale e all’appoggio di altri studiosi che, direttamente o in parallelo, hanno corroborato il suo scenario storico, si può tentare una rivisitazione della sequenza di eventi di quel tempo lontano e modificare la prospettiva storica non con un sentimento di rivalsa, ma con il rigore scientifico e l’onestà intellettuale di chi ha interesse che la storia dell’umanità risulti meno oscura. Scrive Carnevale nella sua presentazione al libro:
“
...Carlo Magno mori’...il 28 Gennaio 814 e la sua tomba è stata sempre ricercata ad Aachen, inutilmente...la sepoltura del sovrano avvenne ad Aquisgrana, lo stesso giorno della morte, nell’ambito della sua splendida Nova Cappella da lui costruita verso il 790...fu sepolto all’esterno della...Cappella e il figlio Ludovico il Pio vi costruì sopra un’arcata, che resta ancora rimaneggiata e priva degli ornamenti del tempo...
”
L’aver posto Aquisgrana in Germania e Saint Denis in Francia ha causato un effetto a catena che ha dilatato nello spazio luoghi e vicende, dalla fine della dinastia carolingia all’avvento della potenza sassone, dall’ “Equivoco del Laterano” all’imbarazzante identificazione della Gallia con la Francia e della battaglia dell’Urbe con quella di Riade.
Ciascuno di questi argomenti sara’ trattato specificamente in articoli successivi.
L’ASCESA E LA FINE DELLA DINASTIA CAROLINGIA
Il “patriarca” carolingio che diede inizio alla dinastia fu Carlo Martello il quale, ancora molto giovane, venne inviato in Italia dalla matrigna Plectrude allo scopo di allontanarlo dal trono Merovingio.
Carlo Martello arrivò nella penisola mediterranea nel 716 e vi trovò locali franchi, molti dei quali erano profughi Aquitani, fuggiti dalla loro terra l’anno precedente sotto la minaccia dell’invasione araba. L’accoglienza degli Aquitani in Italia era stato uno sforzo congiunto del Papa, dell’Abate di Farfa Tommaso di Morienna e del duca di Spoleto Faroaldo, un Longobardo.
Quest’ultimo aveva proposto di donare terre che gli appartenevano ma che erano ormai spopolate e desolate per via delle guerre e delle pestilenze degli anni precedenti.
Le terre in questione erano dislocate lungo due importanti strade romane: la Salaria Gallica (oggi SS78) e la Salaria Consolare che, attraverso la Sabina, giungeva a Roma. In quel momento storico in Italia esistevano altre due capitali importanti al Nord e cioè Ravenna per l’Esarcato bizantino, che controllava anche la Decapoli (una confederazione di città delle attuali Marche settentrionali) e Pavia, dove risiedeva il re dei Longobardi.
L’accoglimento degli Aquitani era soprattutto una mossa politica in quanto si intendeva ripopolare le aree del Piceno e della Sabina che si trovavano al limite delle tre principali realtà politiche del tempo: Spoleto Longobarda, Ravenna Bizantina e Roma Papale. Prima della conversione dei Longobardi al cristianesimo, sotto la regina Teodolinda, era pericoloso attraversare l’Umbria lungo la Flaminia che collegava Roma a Ravenna e quindi da quest’ultima città si era creata una via alternativa che da Scheggia, percorrendo la Salaria Gallica si ricollegava alla Salaria Consolare. Gli Aquitani così accolti venivano considerati “franchi” come lo erano state altre popolazioni già integrate nella penisola, cioè uomini liberi non Cives e che lavoravano la terra per conto dei Romani.
La ripopolazione del Piceno fece sì che gli Aquitani vennero dislocati, dall’Abate di Farfa, in piccoli gruppi lungo la Salaria Consolare (Sabina) e la Salaria Gallica (Piceno). Da lì le colonie franche si allargarono sulle valli dei vari fiumi Potenza, Chienti, Tenna, Ete, Aso e il territorio tra il massiccio dei Sibillini e le coste Adriatiche fu ben presto chiamato “Francia” per via del fatto che era interamente popolato da franchi.
Carlo Martello, quindi, raccolse uomini tra i franchi e formò un esercito che usò per spodestare Plectrude prima e poi per combattere gli arabi che dalla Spagna intendevano attraversare i Pirenei per conquistare le fertili campagne della Gallia meridionale. Per tutto il resto della vita (morì nel 742, anno di nascita di Carlo Magno) Carlo Martello, dopo aver trascorso il periodo delle festività religiose invernali nella “Douce France”, raggiungeva la Gallia dando origine ad una sorta di “esercito pendolare” mantenuto anche dal figlio Pipino il Breve. Questo fu possibile grazie all’apertura della via Francigena, un’arteria stradale che partiva dall’Urbs, la Roma durante il SECULUM OBSCURUM (oggi Urbisaglia) e attraversava i territori dove oggi sorgono Cancelli di Fabriano, Spoleto, Acquasparta fino ad Orte sul Tevere, per poi deviare a Nord fino ai passi della Cisa e del Gran San Bernardo per raggiungere la Gallia.
Il figlio di Carlo Martello, Pipino il Breve, ereditò il comando dell’esercito franco e anche la responsabilità di mantenere libera la Gallia dalle ambizioni dominatrici arabe. Egli usò la via Francigena come il padre, mentre con Carlo Magno, che combatteva in Germania, prese importanza la via Romea che dall’Urbs Picena saliva a nord oltrepassando il Brennero.
Pipino il Breve, a differenza di Carlo Martello, era nato in Val di Chienti quindi sin da subito era entrato in contatto con quella molteplicità di etnie che l’Italia ospitava a quel tempo: Greci-Bizantini, che dall’Esarcato di Ravenna dominavano gli antichi municipi Romani su entrambe le sponde dell’Adriatico settentrionale; Romani, che sotto il Papato erano concentrati soprattutto nel Lazio, Umbria meridionale e Tuscia o Toscana meridionale; Longobardi, il cui territorio comprendeva Pianura Padana, Umbria centro settentrionale e Toscana e poi franchi Aquitani, Sassoni, Turingi, per non parlare dei residui delle antiche popolazioni Picene e Celtiche.
I primi due condottieri carolingi furono sepolti al di sotto dell’ingresso dell’attuale Collegiata di San Ginesio che a quel tempo ospitava l’Abbazia di Saint Denis, voluta da Carlo Martello e costruita dai monaci Parisii, provenienti dalla stessa etnia che diede il nome a Parigi, l’Augusta Parisiorum in epoca Romana.
In cima alla rocca prospiciente l’Abbazia, Carlo Martello aveva edificato la sua dimora personale, oggi visibile in alcuni resti nella parte alta di Sant’Angelo in Pontano. Pontano è un termine carolingio, dal latino
Pons Hugonis
, poi volgarizzato in Ponticone e ulteriormente modificato in Pontone durante il Medioevo. La valle che separava Saint Denis dalla residenza carolingia è quella dove ancora oggi scorre il fiume Fiastra. Nei milleduecento anni che ci separano dall’epoca di Carlo Magno il territorio ha subito minime modificazioni mentre nomi, paesi e abitudini sono radicalmente cambiati. La strada che costeggia il Fiastra era chiamata Salaria Gallica; essa si ricongiungeva alla Salaria Consolare che portava a Roma oltrepassando il monte Vettore. Ad est, invece, verso Fano, entrava nel territorio dei Galli Senoni, che avevano il loro centro in Senigallia.
Nel 753 la dinastia carolingia compie una svolta importante: il Papa Stefano II incontra Pipino il Breve a Ponticone e gli offre di incoronarlo Re dei Franchi. L’ultimo Merovingio, Childerico, era stato spodestato e Pipino il Breve era già un sovrano de facto. Pipino accettò e un nuovo sovrano si aggiunse in Italia oltre a Liutprando, re dei Longobardi, che già risiedeva a Pavia.
La moglie di Pipino, Berta, divenne regina e il loro figlio Carlo, allora undicenne, assunse il nobile lignaggio dei sovrani.
Il conflitto con i Longobardi di Pavia si protrasse per tutto il resto della vita di Pipino, che combatté Liutprando prima, e i suoi successori Rachis e Astolfo poi. Alla sua morte, avvenuta nel 768, il figlio Carlo, dopo averne ripudiato la figlia, scese in guerra contro Desiderio, ultimo re Longobardo.
Pipino il Breve nel 768 era stato sepolto a Saint Denis (San Ginesio) ove 10 anni dopo gli fu sepolta accanto anche la consorte Berta e dove già riposava il padre Carlo Martello: anche in questo caso il georadar ha individuato uno spazio vuoto al di sotto del primitivo ingresso della Collegiata, dove le tombe di Pipino e Berta si troverebbero, ancora intatte.
Carlo Magno era divenuto re subito dopo la morte di Pipino il Breve e, ancora inesperto sulle arti della guerra e della diplomazia, si era lasciato guidare da Berta. Aveva sposato Ermengarda, figlia del re longobardo Desiderio. Il disegno di Berta era chiaro: con quel matrimonio politico ella intendeva unificare le due etnie rivali con la speranza che, alla morte di Desiderio, Carlo potesse ereditare i due imperi e quindi governare l’intera penisola.
Purtroppo la regina madre non aveva considerato gli umori del popolo franco: già indispettito dal fatto che Pipino il Breve aveva sposato una bizantina (Berta per l’appunto), vedere il loro re convolare a nozze con una esponente degli odiati Longobardi era inaccettabile. Così Carlo Magno, l’anno successivo, ripudiò Ermengarda e dichiarò guerra a Desiderio, riconquistando la lealtà dell’esercito e del popolo franco. Sconfitto Desiderio e, con esso, la dinastia reale Longobarda, Carlo Magno si proclamò “Re dei Franchi, dei Longobardi e Patrizio dei Romani”.
Senza più guerre da combattere in Italia, Carlo Magno si dedicò a consolidare il regno dandogli una struttura solida e precisa: la Val di Chienti diveniva il centro del regno e dove oggi sorge Corridonia Pipino aveva già costruito una chiesa dedicata a San Pietro; Carlo Magno proseguì il trasferimento da Ponticone alla piana del Chienti. Nella zona di Palatium Aquis Grani fece costruire la nuova splendida Cappella Palatina, oggi chiesa di San Claudio.
Il regno carolingio aveva accumulato nel corso delle guerre vittoriose di tre generazioni di condottieri un ingente bottino oltre che un’ineguagliata influenza politica. Per questo Leone III, Papa e franco, decise, nella notte di natale dell’800, di incoronare Carlo Magno Imperatore del rinato Impero Romano.
A trecento anni dalla caduta di Roma, Carlo Magno non solo fece rinascere l’Impero ma dette l’avvio ad una serie di relazioni diplomatiche con altri popoli e sovrani, specialmente con quelli antichi d’Oriente. Con gli Abbasidi di Baghdad cominciò una fitta rete di scambi commerciali: mercanti, soprattutto ebrei, andavano e venivano dalla Val di Chienti alla pianura del Tigri e dell’Eufrate.
Carlo Magno investì l’ingente bottino delle guerre carolingie per dare all’Occidente, devastato e privo di un’identità socio-culturale, nuovo lustro e una capitale (nella Francia Antica). Il problema maggiore era rappresentato dal fatto che, pur esistendo in Italia rovine dell’età classica, non vi erano più la maestranze che possedessero le conoscenze per ricostruire lo stile tipico della Roma antica. Ma tali conoscenze erano rimaste nell’area Romano-Bizantina. Così Carlo Magno chiese al Califfo di Baghdad Arun Al Rashid di inviare mastri costruttori dal vecchio califfato di Damasco per costruire Aquisgrana. Si trattava di una città immersa nel verde e priva di mura, infatti non vi era ragione per temere attacchi visto che a Occidente la catena dei Sibillini costituiva una fortezza naturale e impenetrabile e a Oriente l’alleanza con Bisanzio garantiva una protezione assoluta.
Il Palatium, ovvero la residenza privata dell’Imperatore, distava otto miglia dall’Urbs (oggi Urbisaglia) e cinque dall’attuale Abbazia ad Indam (oggi Santa Croce all’Ete). La Cappella Palatina, oggi San Claudio, era collegata al Palatium da un portico in legno terrazzato che Carlo Magno amava percorrere anche di notte. Alle spalle di San Claudio sorgono ancora oggi i resti della Schola Palatina dove furono realizzate pergamene miniate raccolte in volumi che sono ancora conservati nelle principali biblioteche d’Occidente. In quella scuola rinacque in Europa lo studio della Bibbia e del classicismo dell’antica Roma.
Carlo Magno fece formare dignitari imperiali sotto la guida dell’inglese Alcuino e del longobardo Paolo Diacono, per poi dislocarli in varie parti d’Italia e d’Europa. Si deve quindi alla Francia Picena di Carlo Magno la rinascita dell’Occidente e la salvezza della cristianità, che altrimenti sarebbe probabilmente terminata con l’invasione Araba. La Spagna era infatti caduta facilmente sotto l’urto degli islamici Ommayadi, che nell’840 avevano conquistato anche la Sicilia e stabilito due avamposti sulla penisola italica, Bari e Taranto. Gli Arabi giunsero fino al Piceno (881) distruggendo Aquisgrana. Ma il mondo Occidentale era già organizzato e in pochi mesi gli invasori vennero respinti a Sud. Solo nel 915 con la battaglia del Garigliano, gli Arabi vennero definitivamente cacciati dall’Italia.
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