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Seculum Obscurum rivelato I
Memorie dal tempo dei Carolingi
Diego Antolini
27/08/2016 16:03:54
400 ANNI DI “TENEBRE”
L’Alto Medioevo e’ nato e si e’ sviluppato in un’area circoscritta del centro Italia e in particolare in quella che oggi e’ l’odierna regione delle Marche. Per trent’anni il Professor Giovanni Carnevale ha esplorato i territori della Val di Chienti e raccolto indizi e documenti che lo hanno portato ad una teoria critica sul vero sviluppo storico dell’eta’ immediatamente successiva alla fine dell’Impero Romano.
“
Non e’ uno scenario rivoluzionario...
”, scrive Denis Lohest nella prefazione al libro del Prof. Carnevale (“Il Piceno da Carlo Magno a Enrico I”, 2016), “
...non contesta i fatti della Storia Ufficiale...anzi li rafforza...
”
In realta’, dopo averlo incontrato e intervistato a Macerata, possiamo integrare l’affermazione di Lohest con le nostre opinioni in merito alla visione dello studioso che, per primo, ha osato scardinare l’immobilismo accademico di chi ha frettolosamente bollato gli anni del primo medioevo come “oscuri” in quanto troppe erano le lacune storiografiche per poterle incanalare su binari logici. Ma e’ proprio la logica ad aver fatto difetto a chi, in passato, non ha saputo (o voluto) rileggere i fatti con la dovuta obiettivita’. Il Prof. Carnevale lo ha fatto, aiutato anche da quegli eventi sincronici (i piu’ direbbero “fortunati”) che accompagnano solo le imprese piu’ audaci. E’ dalla traduzione di un monaco medievale germanico, Widukind, che sono venuti alla luce i fatti storici dell’epoca carolingia che hanno di posto le basi per la creazione dell’Europa. Prima di Widukind, il Prof. Carnevale e il suo fido assistente, Domenico “Mimmo” Antognozzi, avevano gia’ tradotto autori che in qualche modo erano legati all’epoca di Carlo Magno. Il primo fu Eginhard, il biografo dell’imperatore, sulla cui obiettivita’ nel riportare i fatti storici si puo’ dubitare per ovvie ragioni di convenienza politica; poi Notker Balbulus, monaco di San Gallo che raccolse una serie di aneddoti su Carlo Magno (nell’opera “Vita di Carlo Magno Imperatore nella Francia Picena”) ma senza dare loro organicita’ e struttura logica. Quando e’ venuto il momento di tradurre il primo libro di Widukind, tuttavia, lo studioso maceratese si e’ trovato di fronte ad un’opera solida, scritta in un latino sorprendentemente articolato per l’epoca (scrive il Prof Carnevale in proposito: “
...e’ un latino di uno scrittore formatosi con intelligenza sui classici dell’antica Roma
”). Ma non tanto la forma, quanto i contenuti sono risultati sorprendenti e non hanno fatto che confermare le intuizioni che il Prof. Carnevale aveva avuto nel corso degli anni precedenti (e’ autore di tredici libri sul tema nell’arco di trent’anni di studi).
Il presente articolo e’ basato sull’ultimo lavoro (op. cit.) di Carnevale e Antognozzi e sull’incontro che abbiamo avuto con il Professore. Lo scenario “alternativo” della storia dell’Europa continentale qui esposto, che va dalla meta’ dell’VIII fino al XII secolo, potra’ nell’immediato futuro assumere i contorni dell’esattezza storica quando anche gli altri libri di Widukind saranno stati tradotti. Come ci ha detto il professore, “
le sorprese non sono ancora finite
”.
WIDUKIND
Widukind era un monaco dell’abbazia di Corbeia Nova (tutt’ora esistente nell’attuale comune di Monte San Vito, Ancona) che redasse le cronache del suo tempo dalla Sassonia Picena in almeno tre libri, il primo dei quali, il “Rerum Gestarum Saxonicarum – Libri Tres” [Primo libro di fatti della Sassonia] e’ la fonte principale (e, attualmente, l’unica) delle cronache medievali dell’era carolingia. Widukind fu un Sassone che parlo’ di Sassoni, ma non solo. Egli scrisse dopo il 964 (la data e’ desunta dalla dedica del monaco a Matilde figlia di Ottone I. Nella dedica Widukind usa l’aggettivo “imperiale” a significare che Ottone I era gia’ Imperatore e questo avvenne dopo il 962. Il Prof. Carnevale fissa la data della redazione del libro primo di Widukind attorno al 970) e questo lo colloca senza dubbio nel monastero di Corbeia Nova, che esisteva gia’ da un centinaio di anni all’epoca di Widukind. Corbeia Nova sarebbe sorta in Sassonia (a nord del fiume Musone) dopo che la piu’ antica abbazia di Corbeia (situata nella Francia Picena nei pressi dell’attuale Corva, localita’ situata a Porto Sant’Elpidio, Fermo) aveva cessato di esistere. Corbeia era stata fondata da Pipino il Breve e dedicata a San Vito Martire, ma nell’836 fu traslata in Sassonia (ad opera degli stessi monaci franchi) con il nome di Corbeia Nova.
Ma i tedeschi del tardo romanticismo (appartiene al XIX secolo lo studio sistematico del Medioevo e la scuola germanica e’ la sola ad aver stilato una storiografia di quell’epoca, che era stata lasciata colpevolmente scivolare nell’oblio dal Rinascimento italiano) caddero nell’equivoco di collocare Corbeia oltralpe e nella fattispecie a Corvey; equivoco nato da un altro errore, quello di aver identificato l’Aquisgrana di Carlo Magno con Aachen (ma nelle fonti anteriori a Barbarossa si fa sempre e solo riferimento ad Aquisgrana nella Francia Picena), creando cosi’ il Medioevo “con i buchi neri”. I tedeschi non sapevano leggere Widukind? Una domanda scomoda che esula dagli obiettivi di questo articolo ma che il Prof. Carnevale ha dovuto porsi nel tentativo di comprendere le ragioni di questo equivoco strutturale; d’altra parte, senza il “Monumenta Germaniae Historica” la ricostruzione dell’autentico medioevo Europeo non sarebbe oggi possibile. Tradurre Widukind ha significato conoscere le cronache del tempo con tutta una serie di rivelazioni che non si fermano solo alla Sassonia. Infatti il monaco scrisse anche sulla confinante Francia Picena anche se quella documentazione e’ andata irrimediabilmente perduta. “La storiografia ufficiale”, scrive il Prof. Carnevale “non ha ancora recepito la collocazione nel Piceno di Francia e Sassonia” ed e’ da questo scenario che si deve partire per comprendere tutte le allopatrie di luoghi, genti, avvenimenti (come ad esempio i Papi che attraversavano la Francia per recarsi nella Sassonia d’oltralpe – secondo la storia ufficiale – in pieno inverno, o il Doge di Venezia Obelerio che visita Aquisgrana via mare - ovviamente la vera Aquisgrana Picena). La posizione degli accademici tedeschi, ci risponde il Prof. Carnevale, e’ di sostanziale rifiuto a qualsiasi tipo di dialogo “
...se sollecitati su questo enorme equivoco che ha creato il Seculum Obscurum e che, alla luce di questi nuovi elementi, oscuro non e’...
“.
La storia andrebbe completamente riscritta, almeno dagli ultimi giorni dell’Impero Romano all’eta’ dei Comuni. Scrive infatti il professore che “
l’Alto Medioevo non e’ piu’ obscurum, come finora si e’ sempre detto, inestricabile intreccio di luci ed ombre, ma necessaria preparazione al sorgere dei Comuni
”.
PRIMA DEI CAROLINGI
Come si e’ creato l’Equivoco del Seculum Obscurum? Il Piceno era il centro dell’Alto Medioevo e vi sorgeva una citta’ antichissima che portava ancora il nome Etrusco: Urbs (l’attuale Urbisaglia) e si tendeva a confonderla con l’Urbe di Roma. La zona del Piceno e’ stata di importanza enorme per la storia perche’ antico punto d’incontro di tutte le stirpi che si erano stanziate in Europa dopo le grandi migrazioni indoeuropee. “
Sta acquistando valore l’ipotesi
”, ci informa il Professore,
“che gli Etruschi non siano sbarcati dal Tirreno ma dalla parte opposta, dall’Adriatico, e che abbiano attraversato Marche e Umbria e si siano infine stanziati in Toscana.
”. Urbs d’altra parte, non era la citta’ ma la zona sacra della citta’, l’Acropoli consacrata al dio Granno o Grano, massima divinita’ ancestrale che possiamo definire il “Giove” dei Galli.
I Galli erano gia’ in terra Picena, in particolare i Galli Senoni sulle rive adriatiche (da qui il nome Senigallia, o Gallia dei Senoni). Siamo nell’epoca che precede la fondazione di Roma.
Vi sono leggende, che ancora si tramandano in diverse zone delle Marche, legate a tale evento: la leggenda di Romolo e Remo si sarebbe realizzata nel Piceno per mezzo dell’apparizione della Madonna (o altra divinita’ femminile) a Remo che si trovava a Urbs. La divinita’ gli comandando’ di fondare sul posto (sulle sponde del Tevere) una citta’ che avrebbe dominato il mondo. E Remo fondo’ Roma nel Piceno. In seguito, prosegue la leggenda, la Madonna apparve anche a Romolo e gli disse che la citta’ dominatrice del mondo doveva invece essere costruita in prossimita’ della foce del Tevere. E cosi’ Romolo traccio’ il famoso solco sacro e fondo’ la seconda Roma, uccise il fratello Remo e l’Urbe del Lazio divenne la capitale “ufficiale” del mondo antico. Ma a Urbs Picena rimasero frammenti di storie e leggende che non possono essere trascurate. Il loro valore simbolico assume infatti un’importanza strategica alla luce degli eventi che si susseguirono. “
In ogni caso
”, prosegue il Prof. Carnevale, “
appena sorta Roma vi erano gia’ due Urbs [una nelle Marche e una nel Lazio n.d.a.] fondate su un equivoco.
”.
Con la fine dell’Impero Romano, le vicende storiche che si susseguirono fanno parte del cosidetto Seculum Obscurum poiche’ si ignora l’esatta sequenza degli avvenimenti. Fino ad ora.
Arrivo’ l’Alto Medioevo e la storia comincio’ a produrre una serie di lacune filologiche.
Il Piceno era a quel tempo il nucleo di incontro di varie stirpi (i Romani che lo avevano conquistato, gli Etruschi che li avevano preceduti fondando Urbs, i Greci e i Galli Senoni con i loro alleati Sassoni).
Nessuno si occupo’ di questo periodo ma avvennero fatti storici molto importanti, perche’ l’Urbs Picena durante il Medioevo aveva avuto una posizione molto importante. Durante le invasioni barbariche [“
per i tedeschi oggi si dovrebbero chiamare ‘migrazioni di popoli’
“, puntualizza il Professore con un sorriso n.d.a.] l’Impero Romano rimase fino a quando Teodorico spodesto’ l’Imperatore Romolo Augustolo trasferendolo sull’isola di Ponza. Da quella data (il 476 e’ considerato come fine dell’Impero Romano e inizio del Medioevo) la storia attuale non e’ stata in grado di delineare una storiografia affidabile.
L’etnia che si era stanziata su tutto il Centro Italia in maniera capillare fu quella dei Longobardi, ed e’ quello che la storia accademica ha sempre conosciuto senza alcuna distinzione di fonti e documenti (alcuni dei quali non appartenevano assolutamente ai Longobardi).
I Longobardi venivano chiamati anche “Franchi” ma questo termine non indicava un’etnia, quanto piuttosto uno status: “franchi” erano coloro che valicavano i confini dell’Impero, venivano accolti dall’esercito romano e resi liberi dalla schiavitu’ purche’ accettassero di combattere nelle legioni romane e si stabilissero pacificamente e senza armi sulle terre dell’impero (pagando tributi). Durante le Guerre Gotiche, ad esempio, i soldati utilizzati furono in massima parte “franchi” provenienti dalle piu’ disparate etnie (ma guidate da generali bizantini). Gia’ Giulio Cesare aveva conquistato la Gallia con la cavalleria composta da Germani. Quando pero’ i “franchi” si stanziarono nel Piceno, il nome subi’ un’evoluzione e sembro’ indicare anche un’origine (la Francia, appunto).
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