GUARIRE I TRAUMI

Fonte: Uno Editori

Ho letto il libro di Marco Massignan con molto interesse, perché operare sui traumi utilizzando gli strumenti che sono propri di ogni individuo, sia a livello fisico sia a livello sottile, significano confrontarsi con il problema in modo consapevole, educare noi stessi a gestire questo difficile e sempre presente concetto e, in ultima analisi, a evolvere verso la condivisione del trauma armonizzandolo con tutti i livelli del nostro essere.
Devo ammettere di aver trovato alcune difficoltà nella comprensione del significato che l’autore da’ a certi termini ma, come il Sig. Massignan premette sia in avvertenza sia nell’Introduzione, l’approccio al volume non dovrebbe essere tecnico ne’ terapeutico - risolutivo; piuttosto, dovrebbe indurre il lettore ad apprendere un “nuovo” punto di vista che in realtà, come accade sempre più spesso nell’era contemporanea, è una ri-scoperta di principi e tecniche conosciute e ampiamente utilizzate nel Mondo Antico.

Già nell’introduzione ci si trova di fronte a una cruda descrizione del trauma come un vero e proprio “inferno in terra”, che pervade la nostra esistenza fin da prima della nascita. Il lettore potrebbe esserne spaventato ma la soluzione viene subito indicata: la tecnica presentata dall’autore deriva dall’esperienza pionieristica dell’Americano Peter Levin sulla cura dei traumi mediante il corpo fisico, o Somatic Experiencing.
Il Sig. Massignan ha integrato le tecniche di Levin con la sua esperienza nel campo sciamanico e con il metodo delle Costellazioni Familiari di Bert Hellinger, creando le Costellazioni Rituali (marchio registrato).
Sempre nell’Introduzione, si fa cenno alla risoluzione dei traumi mediante l’Anima che condivido in pieno, in quanto l’Anima è forse l’unica componente dell’individuo che vibra alla stessa frequenza dell’Universo, e che può metterci in comunicazione diretta con la Fonte Primaria della Creazione. Quando però l’autore parla di “frammenti d’anima che tutti noi abbiamo perso nelle vicissitudini della vita”, l’idea dell’anima che si frammenta e che si “perde” nel corso della vita non coincide con l’idea di Anima come forza energetica che può si trasformarsi, ma mai distruggersi o frammentarsi, comportamento che la mente ha invece ampiamente dimostrato in tutti gli esperimenti di manipolazione e controllo mentale (anche in questo caso è lo shock e il trauma che producono la frammentazione) dal controverso MKUltra in avanti.
Il concetto della frammentazione dell’anima è uno dei concetti-chiave ripetuto più volte dall’autore come conseguenza del trauma ed elemento sul quale agire per la sua risoluzione. Così a pag. 51 il paragrafo è dedicato principalmente alla questione. Partendo dall’equazione Coscienza=Anima, viene descritto come l’evento traumatico provochi la “fuga” di frammenti di anima che si vanno a rifugiare in un “mondo mentale staccato dal corpo fisico”. La mia difficoltà ad accettare questo concetto sta nel fatto che nella risoluzione dei traumi, dissociazione della personalità e compartimentalizzazione di aree del cervello dove l’evento traumatico viene “isolato”, e’ la mente=coscienza ad avere il comportamento di fuga e provocare l’isolamento del ricordo/trauma. La descrizione che l’autore da’ sui sintomi dei soggetti affetti da dissociazione coincide con quelle di altri autori, ma sempre e solo con riferimento alla mente. Il Sig. Massignan scrive (pag. 53) che “lavorare con la mente non è mai sufficiente”, e che occorre “lavorare col corpo fisico e con l’anima”. Ma siamo sicuri che, partendo dall’associazione Anima=Coscienza, e con l’Anima che si rifugia in un “mondo mentale”, non riconduciamo la terapia di base a un lavoro essenziale sulla Mente=Coscienza?
Tengo a sottolineare questo aspetto perché la mia premessa critica si basa sul fatto che la Coscienza, il nostro strumento di analisi, ponderazione, accettazione, e reazione agli input esterni, deve essere il contenitore per le nostre azioni!
Parlare di (pag. 52) possessione di un corpo “vuoto” da parte di entità “create dagli uomini” (dalla mente dell’uomo?) “per continuare ad esistere”, e che “fenomeni del genere stanno alla base dei raptus e di molti casi di follia anche omicida”, significa di fatto negare la responsabilità diretta del soggetto per atti socialmente immorali e da condannare. Se si parla di “entità create dagli uomini” che si impossessano di un corpo “svuotato” dell’anima (che però a detta dell’autore è impossibile) per compiere atti di follia, anche qui non posso fare a meno di ricondurre il problema alla Coscienza=Mente. In assenza di questa, l’uomo in pieno possesso dell’anima può avere scatti di follia e raptus omicidi, ma è sempre e solo il soggetto che deve essere considerato responsabile, non entita’ esterne!
Nel paragrafo sulla “coazione a ripetere” (pag. 55 e segg.) si sottolinea la differenza tra sport che conducono ad un’evoluzione spirituale e sport che invece possono alimentare il trauma o la dissociazione/spersonalizzazione del soggetto. Le Arti Marziali appartengono al primo caso, gli sport estremi al secondo. E’ a mio avviso molto importante sottolineare questa differenza visto che spesso i giovani si lasciano guidare dall’Adrenalina piuttosto che dall’Armonizzazione, mentre invece un equilibrio tra i due poli è consigliabile per rendere la mente e il corpo flessibili alle più varie situazioni (la flessibilità del corpo e della mente può essere sinonimo di prevenzione contro potenziali dinamiche traumatizzanti).
A pag. 57 troviamo la frase “Capire non serve. L’importante è sentire”, che mi lascia molto perplesso. Proseguendo nella lettura del paragrafo, l’autore muove una critica diretta all’esasperazione del mondo razionale = materiale in cui siamo immersi, dove il pensiero continuo viene visto come elemento fondante dell’esistenza, in assenza del quale non vi è che morte. Tale concetto, di impronta cartesiana e che ha originato, assieme all’Età’ dei Lumi, l’avvento dell’Ateismo, se portato all’estremo è in effetti dannoso per tutta la nostra componente spirituale che si trova relegata in particelle sensorie atrofizzate dall’inazione.
Io credo tuttavia che il pensiero sia una ricchezza che non possiamo permetterci di abbandonare; vorrei invece che siano i nostri sensi, fisici e sottili, a tornare a quell’intensità’ che molto probabilmente avevano i popoli del Mondo Antico. Non credo assolutamente che il pensiero sia uno “spreco di energia”, in quanto la nostra energia è potenzialmente infinita mentre il ciclo biologico della realtà fisica in cui siamo immersi possiede un suo inizio e una sua fine. Certo è che gestire il flusso energetico che entra nelle nostre vite attraverso Mente, Anima, e Spirito, sarebbe un modo intelligente e consapevole di Armonizzazione (e, quindi, prevenzione dei traumi).
E’ la necessità di essere consapevoli e coscienti (a tutti i livelli) della nostra esistenza che contrastano con la frase letta in precedenza, “capire non serve, l’importante è sentire”. Frase che viene parzialmente corretta a pag. 69 con un “Capire non è sufficiente!”. E’ vero, capire non basta, ma è il primo passo essenziale per far sì che, una volta ricevute indicazioni dall’esterno, si possa essere in grado di muoversi liberi e indipendenti lungo la strada della vita, che in ultima analisi e’ un percorso individuale fatto di scelte.
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