ITINERARIO
Autostrada A10 Genova-Ventimiglia, uscita ARMA DI TAGGIA:
si oltrepassa Taggia, proseguendo verso Badalucco, ultimo
paese sul livello del mare. Poi si comincia a salire, superando nell'ordine
Montalto Ligure, Agaggio, Molini di Triora, e infine si arriva a Triora.
CRONACA DI VIAGGIO
L'ascesa verso Triora dura circa 30 minuti da Badalucco;
il percorso si snoda lungo monti boscosi che formano la vegetazione dell'Alta
Valle Argentina. La strada è molto stretta e la pendenza notevole, la segnaletica
buona e l'aria è fresca per buona parte dell'anno. I paesi prima di Triora sono
molto caratteristici, semplici case di pietra sorte attorno alla strada principale,
dove non mancano almeno un bar, un alimentari, e il monumento celebrativo ai
caduti. Le gente è molto ospitale e disponibile, le auto poche (nella stagione
estiva vi è però un incremento, a causa dei molti stranieri che possiedono terre
e case nella zona).
Mentre di giorno i suoni più comuni sono il latrare dei
cani, o le voci della gente, di notte i boschi si popolano dei molti animali
che vivono nell'Alta Valle Argentina, dal gufo reale alla donnola, dalla faina
al gheppio, e poi ermellini, lepri selvatiche, e altri animali ancora.
La sensazione che avvertiamo è di un bosco vivo, molto vivo, e man mano che
ci avviciniamo alla nostra meta annotiamo particolari interessanti, come ad
esempio il 'sentiero delle streghe', o la 'via delle Streghe'.
Giungiamo a Triora intorno all'ora di pranzo, quando le prime gocce di pioggia
cominciano a lavare l'asfalto della strada. Siamo a 750 mt sul livello del mare.
TRIORA
La Storia -
Triora risulta essere una paese abitato sin dalla più remota antichità. Scavi
archeologici hanno rinvenuto tracce di presenza umana risalente al Neolitico
Medio (3800-3000 a.C.).
La civiltà pastorale continuò a sussistere nella zona anche durante l'Età del
Bronzo (1800-750 a.C.). Significative testimonianze attestano la presenza di
una avanzata comunità alpestre nel territorio di Triora nel periodo dell'Età
del Ferro, dal 750 a.C. alla romanizzazione della regione.
Nel II secolo a.C. gli abitanti di Triora facevano parte della tribù ligure
degli Albingauni, che insieme agli Intemelii ed ai Savo
sostennero una lunga ed estenuante guerra contro i Romani. La guerra, resa ancora
più difficile dalla pervicace resistenza opposta dai Liguri alla penetrazione
romana e dalla conformazione fisica del territorio particolarmente impervio,
durò oltre ottant'anni e terminò nel 115 a.C. con la sottomissione della Liguria
a Roma.
Tra le 45 tribù o genti alpine assoggettate al dominio romano che sono riportate
sulla lapide del trofeo di Augusto a La Turbie compare anche la tribù dei Triullates,
che, secondo alcuni storici, sarebbero stati gli antichi abitatori di Triola
(come era chiamata Triora nell'antichità e nel medioevo). Nonostante la conquista
della regione da parte romana, i Liguri non si sottomisero del tutto, dando
luogo a resistenze e ribellioni, a cui i Romani risposero con deportazioni in
massa degli abitanti. Tra questi furono deportati, nel piano del vallone Cians
(primo affluente della sinistra del fiume Varo), anche alcuni Triulati, che
potrebbero essere stati, appunto, gli abitanti dell'antica Triora.
Durante il periodo imperiale Triora e il resto della Liguria godettero di particolare
prosperità e ricchezza. Nel IV secolo Triora venne evangelizzata, insieme ad
altri paesi del territorio intemelio e ingauno, da San Marcellino,
primo vescovo di Embrun in Francia, e dai suoi compagni Vincenzo e Donnino,
che erano giunti nell'alta valle Argentina dopo essere approdati dall'Africa
sulla spiaggia di Nizza nell'anno 360. Nel periodo delle invasioni barbariche
e dei regni romano-barbarici, Triora vide probabilmente aumentato il numero
dei suoi abitanti a causa del fatto che numerosi abitanti della sottostante
riviera si rifugiarono sulle vicine montagne per scampare alle numerose devastazioni
operate dalle popolazioni barbariche e saracene, tra cui le più significative
furono quella compiuta nel 641 dai Longobardi guidati da re Rotari e nel 730
da un manipolo di arabi che saccheggiò e incendiò il paese.
Durante la dominazione carolingia, succeduta a quella longobarda, Triora
conobbe un periodo particolarmente oscuro, di cui non è rimasta alcuna traccia
documentaria, se non la supposizione, avanzata da alcuni storici (tra cui Savio
Fedele) che a questo periodo, tra l'VIII e il IX secolo, risalirebbe la costruzione,
da parte di monaci benedettini, dell'antica chiesa-parrocchia altomedievale
dedicata a San Pietro apostolo e a San Marziano martire, ubicata fuori le mura
dell'abitato (come lo erano del resto tutte le parrocchie dei pagus,
i villaggi dell'alto medioevo). La chiesa, oggi completamente scomparsa, venne
distrutta dalle fondamenta nel 1878 per erigervi al suo posto una piazza d'armi.
Verso la metà del X secolo il re d'Italia Berengario II, per difendere le Alpi
Marittime dalle incursioni saracene, divise il territorio ligure in tre marche:
la Arduinica, la Aleramica e l'Obertenga. Triora venne assegnata alla marca
Arduinica o contea di Albenga, che si estendeva lungo il litorale da Nizza a
Finale. A ponente la marca Arduinica confinava con la contea di Ventimiglia
presso il torrente Armea nei pressi di Bussana. La marca cessò di esistere nel
1091 con la morte dell'ultima contessa di Albenga, Adelaide. Durante il IX e
il X secolo si sviluppò anche a Triora l'economia feudale, basata sullo sfruttamento
della terra quale unica ricchezza sociale. Fulcro dell'economia feudale era
il sistema curtense, che si irradiava intorno al castello del feudatario. A
Triora il castello dovette essere costituito dal Forte di San Dalmazzo, a cui
era annessa la chiesa omonima e l'abitazione del signore. La corte era una vera
e propria cittadella completamente autosufficiente, con i suoi magazzini, coloni
e artigiani, e vendeva, comprava e barattava con i trioresi i prodotti della
terra e i manufatti locali.
Fu durante la fine del 1100 che a Triora andò formandosi stabilmente il primo
centro dell'impianto urbanistico, il quartiere di San Dalmazzo, che era il punto
più elevato dell'abitato ed era quasi inaccessibile da tre lati, con il suo
forte, la chiesa e il palazzo pubblico. Le cinque o sei case costruite fuori
della porta Peirana (o della Carriera Velli) formarono invece il primo nucleo
del paese, il cosiddetto burgus, direttamente confinante con il castrum
o castello. Come a Genova, anche a Triora la popolazione era divisa in due distinte
fazioni, la nobiltà e la plebe, ciascuna occupante un quartiere dell'abitato:
quello inferiore (Camurata e Sambughea) era destinato alla plebe, mentre quello
superiore (Carriera e Cima o Rizettu) era abitato dalla ricca nobiltà. Intorno
al 1210 venne istituito a Triora un governo popolare, detto Parlamento generale,
formato dai maiores terrae, e retto da sei consoli in rappresentanza
delle principali famiglie magnatizie trioresi.
Tra il 1347 e il 1350 Triora, come il resto d'Italia e di gran parte d'Europa,
venne duramente colpita dal flagello della peste nera, che sterminò un terzo
della popolazione del paese. La pestilenza imperversò soprattutto nel corso
del 1348, quando alcuni abitanti trioresi, per trovare scampo dal terribile
morbo, si rifugiarono in un luogo vicino, dove, non lontano dall'abitato di
Molini, fondarono il primo nucleo del paese di Glori.
Verso la fine dell'estate del 1587, durante una carestia che aveva duramente
provato la popolazione triorese e che durava da oltre due anni, gli abitanti
di Triora, particolarmente stremati, iniziarono a sospettare che a provocare
la carestia che stava flagellando le campagne del paese sarebbero state delle
streghe locali, dimoranti nel quartiere detto della Cabotina. Dopo essere state
individuate, le streghe trioresi vennero subito additate alla giustizia.
Il Parlamento generale, dopo essersi riunito, affidò al podestà
del paese Stefano Carrega l'incarico di fare in modo che le streghe venissero
sottoposte ad un regolare processo e stabilì anche la somma di denaro occorrente
per lo svolgimento del processo, cioè circa 300 scudi.
Carrega chiamò allora il sacerdote Girolamo Del Pozzo, in qualità di vicario
del vescovo di Albenga, dalla cui curia dipendeva Triora, e un vicario dell'Inquisitore
di Genova. I due vicari, giunti a Triora ai primi di ottobre, iniziarono quindi
il processo dopo che Del Pozzo, con una infuocata predica nella chiesa della
Collegiata, aveva denunciato le diaboliche "malefatte" operate dalle streghe
a Triora eccitando in tal modo la collera del popolo triorese verso di loro.
I due vicari fecero allora arrestare una ventina di streghe, che vennero subito
rinchiuse in alcune case private adattate a carcere delle streghe, dichiarandone
subito colpevoli tredici, più quattro ragazze e un fanciullo. Dal momento però
che tali streghe, forse per estorcere loro la confessione delle loro "malefatte",
venivano sottoposte ad atroci torture, ed avevano denunciato diverse "complici",
tra cui non poche appartenenti alla nobiltà locale, la popolazione triorese
iniziò ad intimorirsi e a nutrire dei dubbi sulla corretta condotta dei due
vicari tanto da indurre il Consiglio degli Anziani, un organismo che rappresentava
le famiglie più altolocate e benestanti di Triora, a intervenire presso il governo
di Genova affinché questo facesse interrompere un processo che non dava più
alcuna garanzia, soprattutto in merito all'incolumità fisica delle streghe,
tra le quali una, Isotta Stella, era morta in seguito alle torture subite, e
un'altra era deceduta per le ferite riportate nel gettarsi da una finestra per
sfuggire ai suoi aguzzini.
Il 13 gennaio 1588, con una lunga lettera inviata al governo genovese,
gli Anziani di Triora espressero le loro lamentele in merito alla condotta dei
due vicari, giudicata eccessivamente severa nel valutare la colpevolezza delle
streghe.
L'8 giugno 1588 giunse a Triora il Commissario Straordinario Giulio Scribani,
inviato dal governo genovese per fare chiarezza sui processi intentati alle
streghe. Qualche giorno dopo l'arrivo di Scribani, il nuovo podestà del paese
Giovanni Battista Lerice, in seguito ad un ordine ricevuto dal Padre inquisitore
di Genova, mandò a Genova per la revisione del processo le streghe detenute
nelle carceri di Triora. Il locale bargello (ossia il capo della polizia) Francesco
Totti si occupò del trasferimento delle tredici donne trioresi accusate di stregoneria,
che gli vennero consegnate il 27 giugno. Intanto Scribani intentò regolari processi
a diverse donne di Triora e dei dintorni, arrestandone diverse e sottoponendole
ad atroci torture, che provocarono da parte del popolo le stesse lagnanze che
si erano avute contro i due vicari qualche tempo prima.
Secondo una relazione inviata in giugno al governo genovese, Scribani individuò
tre donne di Andagna: Bianchina, Battistina e Antonina Vivaldi-Scarella, che,
benché non sottoposte ad alcun tormento, si erano dichiarate colpevoli di enormi
delitti, tra cui anche omicidi di bambini innocenti di Andagna. Il commissario
intentò processi anche contro una ventina di donne di Castelfranco, Montalto
Ligure, Porto Maurizio e Sanremo. Il 22 luglio Scribani mandò quindi a Genova
i verbali degli interrogatori delle streghe accompagnandoli con la richiesta
di condanna a morte per quattro donne di Andagna. Appena ricevuta la documentazione
inviata da Scribani, il governo della Repubblica affidò al suo auditore e consultore
Serafino Petrozzi il compito di decidere in merito alle richieste avanzate da
Scribani. Petrozzi respinse però tutte le conclusioni e le proposte di pena
del giudice Scribani, sostenendo che non si potevano adottare provvedimenti
punitivi mancando delle prove certe e inconfutabili.
Il primo di agosto il governo genovese invitò quindi Scribani,
a cui era stata prorogata di un mese la missione a Triora, a mandare le prove
relative ai delitti commessi dalle streghe come richiesto dall'auditore Petrozzi.
Sette giorni dopo, l'8 agosto, Scribani rispose da Badalucco che non poteva
inviare alcuna prova in quanto i delitti o erano stati commessi molto tempo
prima cadendo perciò nell'oblio o erano avvenuti in luoghi fuori dai confini
della Repubblica genovese. Sostenne però che i delitti consumati dalle quattro
streghe di Andagna erano tutti sufficientemente provati. Nonostante ciò, in
seguito alle obiezioni avanzate dal governo genovese, egli dovette rifare i
processi a carico delle streghe di Andagna, che, con sentenza emessa il 30 agosto,
vennero condannate a morte. A Genova si decise allora di affiancare due altri
commissari, il podestà Giuseppe Torre e Pietro Alaria Caracciolo, al giudice
Petrozzi affinché si pronunciassero nuovamente sulle decisioni prese da Scribani.
Messisi subito al lavoro, i tre giudici, contrariamente a quanto stabilito in
un primo tempo, diedero parere favorevole alla condanna a morte delle quattro
streghe di Andagna e di altre due streghe di Badalucco e Castelfranco, Peirina
Bianchi e Gentile Moro. Dopo la decisione dei tre giureconsulti, il Senato genovese
approvò la condanna a morte di cinque delle streghe accusate di delitti ordinando
contemporaneamente di scrivere al vescovo di Albenga, affinché, prima che venissero
eseguite le condanne a morte, le cinque condannate fossero riconciliate con
la Chiesa.
Poco prima però di dar corso alle sentenze contro le cinque streghe con impiccagione
e conseguente bruciatura dei cadaveri da eseguirsi quattro a Triora o ad Andagna
e una a Castelfranco, giunse da Genova l'opposizione all'esecuzione delle sentenze
da parte del Padre Inquisitore, che sostenne che prima di eseguire qualsiasi
condanna a morte nel territorio della Repubblica genovese, spettava a lui, ossia
alla Santa Inquisizione di Roma da cui egli dipendeva, fare il processo sui
quali aveva diritto di giurisdizione l'autorità ecclesiastica.
Il 27 settembre 1588 il governo genovese informò quindi la Congregazione del
Sant'Uffizio di Roma di aver accolto la domanda del Padre Inquisitore. Nel mese
di ottobre il commissario Scribani inviò a Genova le quattro streghe di Andagna
e una certa Ozenda di Baiardo, lamentando il fatto che la popolazione locale
era rimasta molto delusa per la mancata esecuzione delle cinque condannate.
Giunte a Genova via mare, le cinque donne vennero subito rinchiuse nelle carceri
dell'Inquisizione. Poco tempo dopo il governo genovese mandò a Roma agli uffici
della Congregazione del Sant'Uffizio gli atti relativi ai processi alle streghe
incriminate. La Congregazione tenne però gli atti per lungo tempo senza addivenire
ad alcuna decisione tanto che il doge e i governatori genovesi scrissero più
volte a Roma nel febbraio e nell'aprile del 1589 affinché il Sant'Uffizio prendesse
quanto prima una decisione in merito. Il 28 aprile 1589 il cardinale di Santa
Severina, a nome della Congregazione, assicurò il governo di Genova che erano
stati impartiti ordini tassativi per una rapida conclusione della causa.
Il 27 maggio il doge e i governatori di Genova sollecitarono nuovamente la Congregazione,
tramite il cardinale genovese Sauli, perché concludesse in tempi brevi la revisione
del processo.
Intanto, delle donne accusate di stregoneria detenute nelle carceri
dell'Inquisizione genovese, due, tra quelle condannate a morte, erano nel frattempo
decedute, mentre, delle tredici inviate da Triora nel giugno 1588, tre erano
morte e le altre erano state probabilmente rimandate libere al loro paese natale.
Il 28 agosto 1589 il cardinale di Santa Severina annunciò al governo genovese
che il procedimento di revisione del processo era finalmente terminato.
Da quanto riferito dal cardinale di Santa Severina al governo di Genova, si
può dedurre che il tribunale della Santa Inquisizione aveva presumibilmente
cassato alcune delle condanne a morte comminate dall'autorità ecclesiastica
genovese, stabilendo con ogni probabilità che le ultime tre streghe rimaste
ancora nelle carceri genovesi venissero scarcerate. Nello stesso mese di agosto
la Santa Inquisizione decise anche di aprire un procedimento contro il magistrato
genovese Giulio Scribani per aver invaso il campo riservato all'autorità ecclesiastica.
Nel 1656 la popolazione triorese venne letteralmente decimata da una grave peste,
che, partita dal porto di Villafranca, dilagò in tutta la Liguria.
Per tutto il 1672 il territorio di Triora divenne teatro di una serie di sanguinosi
scontri militari tra le truppe piemontesi e quelle genovesi, nel corso dei quali
le campagne circostanti il paese vennero pesantemente devastate e le masserie
sparse sul territorio saccheggiate e messe a ferro e fuoco. A Triora vennero
inoltre stanziati migliaia di soldati genovesi, cinquecento dei quali ingaggiarono
uno scontro armato con le forze piemontesi sul colle del Pizzo. Dopo due anni
di aspro conflitto sulle montagne prospicienti Triora, il duca di Savoia pervenne
infine ad una nuova pace con Genova che venne stipulata il 18 gennaio 1673.
Intorno al 1755, su iniziativa del gesuita triorese padre Antonio Stella, vennero
trasportate a Triora le ossa di un giovane martire, detto Tusco, provenienti
dalle catacombe di Roma e risalenti al periodo delle grandi persecuzioni contro
di cristiani del III secolo. Le autorità comunali e religiose ne istituirono
quindi la festa solenne, accompagnata da una grande fiera, da tenersi annualmente
la seconda domenica di luglio. Il 28 novembre 1756, dopo oltre un anno di devastazione
dei vigneti locali da parte dei bruchi e dei campi di grano da uno sciame di
cavallette, il Parlamento triorese istituì la festa e la processione penitenziale
detta del Monte per ottenere la liberazione dalla tremenda pestilenza. La festa
del Monte si celebra ancora oggi la seconda domenica dopo Pasqua.
Nel 1802 Triora fu incorporata nella Repubblica italiana, mentre due anni dopo
passò sotto il Regno d'Italia. Nel 1802 si tenne anche un censimento della popolazione
residente a Triora, da cui risultò che il comune era abitato da 5828 persone
con un decremento dovuto alle numerose epidemie e carestie che avevano interessato
la popolazione ligure alla fine del XVIII secolo. L'11 febbraio 1803, con decreto
della Repubblica Ligure, vennero abrogati gli Statuti comunali trioresi insieme
a quelli di tutti gli altri comuni della Liguria, anche se tali speciali leggi
comunali rimasero formalmente in vigore a Triora ancora per qualche anno, almeno
fino al 1819.
Dal giugno 1815 Triora, annessa con il resto della Liguria al Regno di Sardegna,
divenne un comune dipendente dalla sottoprefettura di Sanremo. L'economia del
paese, ancora quasi totalmente di natura agricola, risultava completamente autosufficiente
con i suoi ulivi, i vigneti, le fasce di grano-segale e orzo, gli orti accanto
alle sorgenti, i frutteti, i castagneti e i pascoli, che fornivano in abbondanza
latte e formaggio.
Nel 1856 la popolazione triorese venne duramente flagellata da una terribile
epidemia di colera asiatico, il cui tragico passaggio è ricordato da una grande
croce di legno piantata al Poggio delle Pie.
Il 4 ottobre 1879 un fortissimo ciclone, che venne soprannominato il "diluvio"
e attribuito a punizione divina per la cacciata dei frati francescani l'anno
precedente, devastò il paese scoperchiando metà dei tetti dell'abitato e facendo
franare alcuni terreni coltivati nelle regioni Santa Caterina, Curugalla e Cerèixe
ad est di monte Trono, che in seguito dovettero essere abbandonati. Intorno
al 1880 venne costruito il tratto di strada, poi chiamato via De Sonnaz, che
dalla chiesa della Madonna delle Grazie immette nel paese formando nel suo tratto
finale alla passeggiata detta delle Spianate, poi alberata nel 1895. Il terribile
terremoto che investì la Liguria occidentale nel 1887 interessò anche Triora,
dove molti edifici vennero seriamente danneggiati, senza tuttavia provocare
vittime. Nel 1890 il parroco Giuseppe Giauni fondò un orfanotrofio ed un piccolo
seminario per chierici, che ebbero però entrambi breve vita.
Nel 1992 divenne sindaco il professor Antonio Lanteri di Realdo, che sarebbe
stato rieletto nel 1995 dopo un ballottaggio con il geometra di Cetta Nino Gramegna.
Durante i primi anni della sua amministrazione il sindaco Lanteri ha dato prova
di una notevole sensibilità e attenzione verso i vari problemi che riguardano
la comunità triorese, operando in modo particolarmente efficace per il rilancio
e il potenziamento delle attività turistiche, che rappresentano ormai uno dei
principali punti di forza dell'economia del piccolo borgo dell'Alta Valle Argentina.
Ed è proprio sul turismo che oggi Triora punta tutta la sua attenzione per un
rilancio del suo territorio che, dopo aver conosciuto il fenomento di un notevole
spopolamento, appare oggi orientato a diventare una amena e confortevole località
alpina nei pressi del confine con la Francia, in grado di offrire tutta una
serie di servizi alla numerosa clientela turistica nazionale ed internazionale
che la sceglie come luogo di villeggiatura estiva e invernale.
Molto interessanti sono inoltre le iniziative promosse dall'Associazione Turistica
Pro Triora che, oltre a curare il Museo Etnografico, possiede una casa editrice,
la Pro Triora Editore, attraverso la quale divulga opere e pubblicazioni a carattere
culturale, e si propone quale strumento importante per il rilancio del turismo
a Triora.
La stessa Pro Triora organizza inoltre convegni e conferenze annuali sul tema
della stregoneria, dove partecipano studiosi e ricercatori di livello.
In ultimo è da ricordare le feste paesane, tra cui la più pittoresca è senz'altro
'Strigòra', che rievoca in termini ludici la storia e le vicende delle streghe.