Su Marte non si trovano certo grandi metropoli asfissiate dallo smog e
brulicanti di gente. E difficilmente individueremo raffinerie di petrolio quando
ci spingeremo a esplorare i gelidi Plutone e Tritone, luna ghiacciata di
Nettuno. Neanche è immaginabile aspettarsi su Giove autostrade affollate di
vetture avvolte nei fumi dei tubi di scappamento. Eppure questi pianeti, come la
Terra, si stanno surriscaldando! Le ultime immagini di Giove scattate dal
telescopio Hubble nel maggio 2006 hanno difatti testimoniato la crescita sulla
superficie del gigante gassoso di una nuova macchia rossa, simile alla tanto
celebre Grande Macchia Rossa, e ribattezzata perciò Giovane Macchia Rossa (Red
Spot Jr.). Fu osservata per
la prima volta nel 2000, ma negli ultimi 6 anni le sue dimensioni sono
notevolmente aumentate.
Le evidenti anomalie cromatiche visibili su Giove sono in realtà dei giganteschi
vortici atmosferici che si spingono fin oltre la copertura nuvolosa che avvolge
il pianeta. Secondo ricercatori dell’Università della California il veloce e
abnorme sviluppo della Giovane Macchia Rossa è indizio di grandi sconvolgimenti
climatici in atto su Giove, associati negli ultimi anni a un rapido e intenso
riscaldamento, anche di 5 °C, di alcune regioni del pianeta.
Ma c’è anche un altro spettacolare vortice che di recente ha attirato
l’attenzione degli astronomi. Su Saturno la sonda Cassini ha fotografato in
prossimità del Polo Sud un enorme e insolito uragano, con venti a oltre 550
chilometri orari e un diametro di circa 8000 chilometri, cioè più della distanza
che separa Roma e Pechino, mentre il muro di nubi che ruota attorno all’occhio
del ciclone si innalza all’interno dell’atmosfera fino a oltre 70 chilometri di
quota.
COME DA NOI: PIU' CALDO, URAGANI PIU' VIOLENTI
Le caratteristiche di questa tempesta, secondo studiosi del California Institute
of Technology di Pasadena, potrebbero indicare uno sviluppo simile a quello dei
cicloni tropicali sulla Terra: sarebbe cioè la grande disponibilità di calore
(nel caso del gelido Saturno, temperature sensibilmente meno fredde rispetto al
normale) ad alimentare l’uragano. Del resto sia il telescopio Keck di Mauna Kea
sia la sonda Cassini avevano recentemente registrato un riscaldamento di circa 2
°C proprio nella regione del Polo Sud di Saturno.
Il surriscaldamento planetario però non si è fermato ai corpi celesti
relativamente più vicini a noi, ma sembra aver raggiunto anche quelli più
lontani, perennemente avvolti nel gelo siderale. Come testimoniato da ricerche
del Massachusetts Institute of Technology, su Plutone dalla fine degli anni ’80
a oggi la pressione atmosferica è più che triplicata, a causa del graduale
innalzamento delle temperature (circa 2 °C) che ha spinto parte dell’azoto
surgelato in superficie a evaporare e passare in atmosfera. Su Tritone, invece,
il fenomeno è stato ancora più marcato: dal 1989, anno del passaggio della sonda
Voyager, la temperatura è passata da circa 200 a 193 gradi sotto zero, tanto che
anche la sua atmosfera sta diventando di anno in anno sempre più densa. Se nel
caso di Plutone l’aumento delle temperature si può in parte spiegare con la sua
lunga orbita di rivoluzione, che lo porta a fare un giro intero attorno al Sole
nel corso di 248 anni terrestri e che proprio nell’ultimo decennio lo ha spinto
nel punto più vicino alla nostra stella, più difficile è invece trovare una
spiegazione al surriscaldamento della luna di Nettuno.
E come se non bastasse, ora è giunta notizia che su Marte, dopo le voragini
osservate nelle calotte polari, indizio di un recente scioglimento, la sonda
Mars Global Surveyor ha fotografato tracce di erosione del suolo che potrebbero
essere prova dell’occasionale scorrimento di acqua. Insomma stiamo assistendo a
un riscaldamento che sembra interessare tutto il Sistema Solare.
IL RESPONSABILE? IL SOLE, MA IN MODO INSOLITO
Ma se l’uomo, almeno in questo caso, non ha colpe, chi è il responsabile del
riscaldamento interplanetario?
Il maggior indiziato sembra essere il Sole. In effetti siamo spesso erroneamente
portati a credere che l’attività della nostra stella sia costante nel tempo, o
almeno che subisca variazioni solo su tempi assai lunghi, mentre in realtà
l’energia che essa emette verso lo spazio in tutte le direzioni subisce
nell’arco di anni e decenni variazioni periodiche percentualmente assai piccole
ma comunque in grado di influenzare il clima della Terra. I venti e tutti i
principali fenomeni atmosferici si alimentano attraverso il calore che, sotto
forma di radiazione elettromagnetica, arriva dal Sole: una quantità di energia
che, nel punto in cui raggiunge la nostra atmosfera, è mediamente quantificabile
in circa 1367 Watt per metro quadro.
E sono proprio le cicliche variazioni dell’energia emessa dal Sole che, tra il
quattordicesimo e il quindicesimo secolo, hanno spinto l’Europa e il Nord
America verso un periodo estremamente freddo, noto come Piccola Era Glaciale e
culminato tra il 1645 e il 1710 in una fase caratterizzata dall’assenza di
macchie solari (nota come Minimo di Maunder) durante la quale il calore che
giungeva sulla superficie terrestre era inferiore rispetto a oggi di una
quantità tra lo 0,2 e lo 0,7 per cento. Nel corso dell’ultimo secolo invece
l’attività del Sole è andata progressivamente crescendo e ha così contribuito
all’aumento delle temperature sulla Terra. E mai negli ultimi 1150 anni il Sole
ha emesso tanta energia come ai giorni nostri. In particolare ricercatori dell’Earth
Institute della Columbia University americana, analizzando i dati raccolti da 6
diversi esperimenti con satelliti di NASA, NOAA ed ESA, hanno recentemente
evidenziato un aumento dell’ordine di circa 0,05 per cento per decennio, a
partire dal 1978, della TSI, sigla che corrisponde alla Total Solar Irradiance,
ovvero l’energia elettromagnetica che la Terra riceve dal Sole su tutte le
lunghezze d’onda.
Ma può bastare il Sole per spiegare un così evidente aumento di temperatura
anche nei pianeti ai confini del Sistema Solare? Forse sì, soprattutto alla luce
di una recente ricerca di Adriano Mazzarella, responsabile dell’Osservatorio
Meteorologico dell’Università di Napoli Federico II. Secondo questa ricerca,
oltre alla radiazione elettromagnetica, cioè luce e calore, anche le particelle
cariche emesse dal Sole assumono un ruolo importante nell’influenzare il clima
terrestre. I gas a temperature altissime della parte più esterna dell’atmosfera
solare, la corona, fuggono in parte verso lo spazio, dando origine al vento
solare: getti turbolenti di particelle cariche, per lo più protoni, elettroni e
nuclei di elio che si propagano a gran velocità in tutte le direzioni. Questo
flusso, interagendo con il campo magnetico terrestre, dà origine non solo a
fenomeni spettacolari quali le aurore polari, ma è anche causa di serie
difficoltà nelle comunicazioni: il 29 ottobre 2003, per esempio, il Sole sparò
miliardi di tonnellate di particelle elettricamente cariche verso la Terra a una
velocità di oltre sei milioni di chilometri l’ora. L’impatto di questa
grandinata di particelle sul campo magnetico terrestre diede origine alla più
grande tempesta geomagnetica mai misurata sulla Terra, responsabile tra l’altro
di un black out della rete Gps che durò diverse ore. (leggi articolo di Adriano
Mazzarella)
TRE FENOMENI PER L’EFFETTO SERRA TERRESTRE
La ricerca di Adriano Mazzarella ha ora evidenziato una serie di cicli
ricorrenti, lunghi 60 anni, in una serie di parametri atmosferici e geofisici,
utilizzando i dati dal 1868 a oggi: la turbolenza del vento solare, la durata
del giorno misurata tramite la differenza tra la durata teorica del giorno,
86.400 secondi, e quella calcolata astronomicamente, la temperatura dell’aria
dell’emisfero settentrionale e l’intensità delle correnti occidentali, misurata
tramite il dislivello di pressione atmosferica tra le latitudini di 35° Nord e
55° Nord.
Ma come si legano fra loro questi parametri? L’analisi del ricercatore ha
prodotto una spiegazione basata su fenomeni a cascata. Un graduale aumento della
turbolenza del vento solare, attraverso perturbazioni del campo geomagnetico,
potrebbe influenzare i movimenti all’interno del nucleo terrestre, dove si
originano le linee di flusso del campo magnetico. A causa delle interazioni tra
nucleo esterno, che è fluido, e mantello terrestre, che circonda il nucleo
esterno ed è solido, ciò potrebbe riflettersi in una diminuzione della velocità
di rotazione della Terra. Se la Terra ruota più lentamente aumenta però la
durata del giorno, sia pure di decimi di millisecondo, e questo processo è a sua
volta in grado di causare un’accelerazione delle correnti atmosferiche che
fluiscono prevalentemente lungo i paralleli, dette correnti zonali.
Poiché l’energia cinetica del sistema Terra–atmosfera nel suo complesso deve
rimanere costante, se il Pianeta rallenta il suo moto di rotazione le masse
d’aria devono quindi muoversi più velocemente. Correnti zonali più intense
rendono però più difficili gli scambi di masse d’aria dalle basse verso le alte
latitudini e viceversa, e quindi viene rallentata anche la propagazione del
calore accumulato nella fascia tropicale verso i poli: il risultato è una
diminuzione della temperatura media del Pianeta. Viceversa, nei periodi in cui
la turbolenza solare tende a diminuire, la velocità di rotazione aumenta, la
durata del giorno diminuisce, le correnti zonali si fanno più deboli e, grazie a
una più efficace distribuzione del calore, le temperature medie del Pianeta
crescono.
Ma allora, se negli ultimi anni la turbolenza solare è aumentata, perché la
Terra non si raffredda? In realtà tra aumento o diminuzione della turbolenza
solare e conseguenti variazioni della durata del giorno c’è uno sfasamento di
qualche anno e lo stesso avviene nel passaggio che porta all’aumento o
diminuzione delle temperature. Considerando tali ritardi, un graduale aumento
della turbolenza del vento solare diviene responsabile di una diminuzione della
temperatura dell’aria a livello planetario dell’ordine di circa 0,2 °C ma con un
ritardo di 25–30 anni, seguita poi nei 25–30 successivi da una diminuzione delle
temperature pressoché eguale.
Queste variazioni però si sommano al costante riscaldamento del nostro Pianeta
imposto sia dall’effetto serra di origine umana, sia dall’aumento di calore
emesso dal Sole: ci sono quindi periodi in cui la turbolenza del vento solare
contribuisce ad accelerare il riscaldamento del Pianeta, e altri in cui invece
tende a frenarlo. In particolare, poiché la diminuzione della turbolenza solare
dei decenni passati ha fatto sì che negli ultimi anni la durata del giorno sia
andata diminuendo, con un conseguente indebolimento dell’intensità media delle
correnti zonali, nel prossimo futuro ci attendono probabilmente altre annate di
caldo record.
UN 2007 ROVENTE ANCHE IN ITALIA
Agli inizi di gennaio l’ufficio meteorologico inglese ha lanciato l’allarme: il
2007 sarà l’anno più caldo di sempre! Secondo i ricercatori inglesi c’è il 60
per cento di probabilità che le temperature medie del nostro Pianeta quest’anno
risultino eguali o superiori a quelle delle annate record del 2005 e 1998. In
effetti due fenomeni, su tutti, potrebbero spingere il 2007 verso picchi di
caldo mai toccati prima: il riscaldamento globale ed El Niño. Il primo fenomeno,
causato sia dalla maggior attività del Sole (negli ultimi 1000 anni mai così
«caldo» come ai giorni nostri) sia dalle emissioni di CO2, ha subito
un’accelerazione proprio nell’ultimo trentennio: il ritmo di riscaldamento della
Terra durante il XX secolo è stato di circa 0,06 °C per decade ma negli ultimi
25–30 anni è bruscamente balzato a circa 0,18 °C per decade. Una tendenza
testimoniata dal fatto che dal 1880 a oggi le cinque annate più calde di sempre
sono tutte concentrate nell’ultimo decennio.
Il surriscaldamento si è fatto sentire soprattutto alle medio–alte latitudini,
Italia compresa: dall’analisi del Centro Epson Meteo in base ai dati registrati
in 62 località italiane risulta difatti che le temperature medie di questi primi
anni del nuovo millennio sono più di un grado superiori a quelle tipiche della
prima metà degli anni ’80. Insomma, la tendenza al forte surriscaldamento
dell’ultimo decennio lascia pensare che il 2007 sarà comunque un anno molto
caldo, mentre la spinta necessaria a battere il record potrebbe arrivare dal
Niño, ovvero dall’anomalo riscaldamento di gran parte dell’Oceano Pacifico
Tropicale. Già da qualche mese è in atto un moderato episodio di Niño che,
secondo il centro di previsioni climatiche dell’ente americano per l’atmosfera e
oceani (NOAA), dovrebbe raggiungere l’apice proprio in questo febbraio, per poi
cominciare lentamente a indebolirsi.
Tuttavia, tutti i maggiori centri di ricerca americani ed europei concordano nel
prevedere che almeno fino a maggio le temperature superficiali del maggiore dei
nostri oceani rimarranno più calde del normale: in tal modo però trasmetteranno
calore anche agli strati atmosferici di una regione molto vasta che, dalla Nuova
Guinea alle coste dell’Ecuador, si estende per più di 10.000 chilometri!
In Italia invece El Niño farà sentire i suoi effetti soprattutto durante la
prossima estate: i profondi sconvolgimenti della circolazione generale
dell’atmosfera che lo accompagnano difatti durante la stagione estiva
solitamente spingono con maggior frequenza e insistenza (come già accaduto nelle
estati caldissime del 1994, 1998 e, soprattutto, 2003) sulla nostra Penisola il
rovente anticiclone africano che, oltre alla calura, porta anche forte siccità.
Inoltre quest’anno ad aiutare l’avanzata dell’alta pressione africana
contribuirà anche la periodica inversione della direzione dei venti
stratosferici tropicali: i venti quest’estate soffieranno difatti da Est verso
Ovest, indebolendo le correnti occidentali che, negli strati più bassi
dell’atmosfera, spingono le perturbazioni atlantiche verso l’Europa e
contrastano la risalita dell’anticiclone africano verso l’Europa.
Fonti:
www.corriere.it/Primo_Piano/Scienze_e_Tecnologie/2007/02_Febbraio/02/newton.shtml