Parlare dell’Arca Santa d’Israele è scontato, quasi banale. Se libri su
Atlantide ne contiamo oltre 7.000, di libri sull’Arca ne esce uno la settimana.
Non è nostra abitudine parlare di argomenti troppo discussi in passato, per non
ricadere nella banalità. Abbiamo esordito con un libro che ha suscitato
contrasti e contestazioni ma che, se non altro, trattava argomenti nuovi e
originali. Intendiamo tenere questa condotta. Ma allora, l’Arca? L’Arca è troppo
legata alla tribù di Dan per non riprendere l’argomento accennato in passato.
Accertato che Mose
era egizio, sacerdote e mago, oltre che generale e principe di sangue reale,
quindi in possesso di conoscenze ad altri impedite, possiamo asserire che l’Arca
voluta da Mose era frutto di una Scienza Antica e ancora oggi sconosciuta. Uno
strumento capace di sprigionare potenza distruttiva inimmaginabile, pericolosa
anche per chi ne faceva uso senza perizia. Mose non la costruì personalmente, ma
scelse due artigiani già pratici di arti e scienze varie: Besaleel, figlio di
Uri, figlio di Hur della tribù di Juda e Ooliab figlio di Achimasac della
tribù di Dan. Esodo, XXXVII, 35: “Il Signore li ha dotati di tale
abilità, che permette loro di eseguire qualunque lavoro di incisore, ricamatore
e tessitore in violaceo, porpora, scarlatto e lino; capaci di compiere qualsiasi
lavoro e di spirito inventivo”. I due costruirono il Tabernacolo, la tenda
del Convegno, in cui sarà custodita l’Arca che sarà “In legno di acacia,
lunga due cubiti e mezzo, larga un cubito e mezzo, e alta un cubito e mezzo. La
rivestirai d’oro di dentro e di fuori; le farai tutt’intorno, nella parte
superiore, una cornice d’oro. Farai fondere quattro anelli d’oro e li fisserai
ai quattro piedi di essa: due da un lato e due dall’altro. Farai delle stanghe
di legno di acacia, e le ricoprirai d’oro; farai passare negli anelli, ai lati
dell’Arca, le stanghe che serviranno per portarla e non verranno rimosse. Porrai
nell’Arca la Testimonianza che ti darò(?). Farai pure un Propiziatorio d’oro
puro, lungo due cubiti e mezzo e largo uno e mezzo. Farai due cherubini d’oro
battuto alle due estremità del propiziatorio.... là io mi incontrerò con te e
dal Propiziatorio, tra i due Cherubini, ti darò gli ordini...” (Esodo: XXVI,
10-22).
Sotto: scrigno a forma di
arca ritrovato nella tomba di Tutankhamon (Tutankaton), figlio e successore di
Akenaton. Notare, sotto, le stanghe per il trasporto. (Da: “Il mistero del Santo
Graal” di Graham Hancock).
Un Danita,
dunque, con l’aiuto di un membro della tribù di Juda, costruì l’Arca. Questo
spiegherebbe il legame Daniti-Arca che si protrarrà nei secoli, fino ai Templari
e... oltre. Noi ne percorreremo la storia. Sappiamo che, una volta costruita
l’Arca e postala all’interno del Tabernacolo, Mose non faceva accostare nessuno.
La custodia era affidata alla tribù di Levi, ai vecchi compagni di Mose: egizi
di stirpe e seguaci del Culto dell’Unico Dio predicato da Akenaton. Alcuni di
loro erano sacerdoti di Eliopoli iniziati al culto di Aton e alle scienze degli
Antichi. A capo dei Leviti figura un nome che ci lascia perplessi: Jersom.
Jersom era anche uno dei figli di Mose. E allora? Il sospetto è che si sia
voluto nascondere il legame con l’Arca della famiglia di Mose, che in altro
capitolo spieghiamo come fu cancellata dalle cronache dai restauratori aronniti.
Ritroveremo i discendenti di Mose proprio grazie ai Daniti, che rintracceranno
un discendente di Jersom, Jonatan, che diverrà il sommo sacerdote
del santuario di Dan e, successivamente crediamo, del santuario di Silo, dove
sarà custodito il Tabernacolo e l’Arca fino ai tempi di David. Ma torniamo
all’Arca e ai suoi terrificanti poteri.
Nella Bibbia
sono descritti alcuni episodi in cui l’Arca manifesta la sua potenza e
pericolosità anche nei confronti di chi la doveva maneggiare. Levitico. X, 1-3
“I figli di Aronne, Nabad e Abiu, presero ciascuno il proprio incensiere, ci
misero del fuoco e vi gettarono sopra l’incenso; poi presero davanti al Signore
del fuoco profano: cosa che egli non aveva ordinato. Allora dalla presenza del
Signore uscì un fuoco che li investì e morirono davanti al Signore” Nadab e
Abiu erano figli di Aronne preposti all’ufficio e all’Arca, quindi sacerdoti
istruiti nell’uso dell’arca stessa, ma evidentemente non ancora del tutto
padroni della tecnica d’uso. E’ probabile che usassero un combustibile diverso
da quello ordinato da Mose e l’Arca reagì sprigionando una sorta di scintilla,
che incendiò quanto essi avevano usato. La scintilla sembra fosse provocata dal
punto di contatto delle ali dei due cherubini posti sul coperchi dell’Arca, il
Propiziatorio. Chissà se Ooliab veniva chiamato in questi casi, per “aggiustare
il guasto”, ma forse era lo stesso Mose a intervenire, o meglio ancora Josuè di
Nun, allievo prediletto di Mose, che non si muoveva dal Tabernacolo e ne era il
custode, in assenza di Mose. Quando Mose salì sul Monte Nebo per accomiatarsi
dal popolo, consegnò i libri della Legge a Josuè, che li pose nell’Arca insieme
alla verga di Aronne (che non era quella usata da Mose per fare i prodigi
descritti dalla Bibbia). Josuè diventa da questo momento il capo indiscusso e la
guida di Israele e per rafforzare la sua posizione, farà spesso uso dell’Arca.
Cominciò con l’ingresso in Palestina, quando diede ordine di passare il
Giordano: “Quando vedrete l’Arca dell’alleanza, portata dai sacerdoti di
Levi, lascerete il luogo dove siete e andrete dietro di Lei. Conserverete tra
voi e l’Arca una distanza di duemila cubi; non avvicinatevi ad essa. Così
potrete conoscere la via da seguire, perché non l’avete mai percorsa” (Josuè,
III, 3). La Bibbia descrive quindi la separazione delle acque del fiume,
che consentì il passaggio al popolo, esattamente come il passaggio del “Mar
Rosso” (Vedi Josuè III, 14-17). Le acque si ritirarono “fino a Sartan”.
La presa di Jerico è ancora attribuita all’Arca. Facciamo però notare che
alcuni studiosi moderni attribuiscono la distruzione di Jerico
all’Invasione dei Popoli del Mare del 1200 a.C. – Ci piace pensare che
l’Arca avesse parte anche nell’episodio in cui Josué fermò il sole su Gabaon,
per dar modo a Israele di vincere la battaglia contro gli Amorrei (Amurru) (Josué
X, 12). Un episodio che si riallaccia ad un fatto simile raccontato nell’Iliade,
quando Patroclo ottiene dagli Dei “che la notte non sopraggiunga”, per
continuare il combattimento vittorioso contro i Troiani. Non sarà l’unico
episodio che troveremo collegato ad altre epopee dei Popoli del Mare, come il
voto di Jefte ricorda il sacrificio della figlia di Agamennone, Ifigenia; come
l’episodio delle spose rapite dai Beniaminiti ricorda il ratto delle Sabine; il
salvataggio dalle acque di Mose ricorda quella di Sargon, di Romolo, di
Perseo... per tornare all’Arca, ne ritroviamo le tracce in Samuele IV,
quando Israele dichiarò l’ennesima guerra ai Philistei e subì (naturalmente) una
sonora sconfitta. Morirono circa 4.000 uomini. A quel punto gli anziani
d’Israele si ricordarono dell’Arca e mandarono a prenderla a Silo. Ma i
Philistei non si lasciarono intimorire, massacrarono i figli d’Israele e
catturarono l’Arca. L’Arca seminò la morte fra i Philistei e fu portata di città
in città per sette mesi interi, finché i capi non decisero di rimandarla a
Israele. La caricarono su un carro trainato da due giovenche da latte,
collocarono sul carro una cassetta con 5 bubboni d’oro e 5 topi d’oro, tanti
quante erano le città dei Philistei e la mandarono in direzione di Bet-Semes,
ma anche qui accadde qualcosa di terrificante. I Betsemiti vollero guardare
dentro l’Arca e 70 uomini furono uccisi all’istante. Arrivarono i Leviti da
Cariat-Jarim (Campo di Dan) e la presero in consegna. L’Arca rimase a
Campo di Dan fino all’avvento di David. L’episodio di Cariat-Jarim rimane
misterioso per alcuni punti.
-
I topi e i bubboni: pensiamo che con questo segno i Philistei
volessero segnalare a Israele che le morti avvenute era procurate dalla peste
(chissà, forse provocata da radiazioni emanate dall’Arca?) e che i topi erano i
diffusori del contagio.
-
Le morti violente degli Israeliti che guardarono dentro l’Arca:
questo fatto mette in risalto la pericolosità dell’Arca, che altre volte si
mostrerà micidiale per chi le si accosterà senza precauzioni o con imperizia.
-
La comparsa dei Leviti: l’arrivo repentino dei Leviti da Campo di
Dan è un altro segnale dell’attenzione che gli antichi compagni di Mose
dedicavano all’Arca, alla cui custodia Mose li aveva preposti. Vista la loro
provenienza (Cariat-Jarim, o Campo di Dan era vicinissima al territorio che i
Daniti avevano occupato all’arrivo in Palestina) pensiamo che con i Leviti vi
fosse anche gente di Dan a scortare il santo simulacro.
David,
perseguitato da re Saul, era poco più che un brigante alla macchia finché non
conobbe Abiatar, sacerdote di Silo scampato al massacro ordinato da Saul stesso
per punire il sommo sacerdote Achimelech, che allora risiedeva a Nob. Abiatar
divenne consigliere e sacerdote di David e poiché allora l’Arca risiedeva
proprio a Nob, Davide ebbe a disposizione un’arma micidiale contro Saul e gli
altri nemici. In segno di gratitudine (e, crediamo, di convenienza) egli farà
portare l’Arca nella nuova capitale Jerusalem, dove resterà fino alla morte del
figlio Salomone. Anche in occasione del trasporto nella capitale, l’Arca
procurerà dei guai ai suoi custodi. Davide aveva inviato 3.000 uomini scelti a
Baala di Juda, dove si trovava l’Arca, nella casa di Abinadab. I figli di
Abinadab la posero su un carro nuovo: Ahio guidava il carro e Oza gli marciava a
fianco, d’un tratto il carro sbandò e Oza stese la mano per impedire che l’Arca
si rovesciasse e cadesse. Non l’avesse mai fatto, dall’Arca si sprigionò una
forza “che percosse Uzah lì stesso e Uzah morì presso l’Arca di Dio” (II
Samuele: VI). Lo stesso David si spaventò moltissimo e rinunciò a portare
l’Arca in città. Così l’Arca rimase nella casa di Obed-Edom di Gat
(probabilmente in campagna, alla periferia della città n.d.A.), dove rimase tre
mesi, “e il Signore benedisse Obed-Edom con tutta la sua famiglia” (Le leggende
popolari parlano di nascite plurigemellari, di donne che partorivano dopo soli
due mesi, di raccolto fuori del comune...). David tenne l’Arca con se, ma non
poté costruire il tempio, che invece realizzò suo figlio Salomone, il quale
chiese aiuto a suo suocero, Hiram re di Tiro. Questi gli inviò specialisti e
materiale per la costruzione e gli inviò soprattutto un personaggio divenuto
leggendario: Hiram Abi l’architetto.
Hiram Abi, considerato l’iniziatore della “Libera Muratoria”, la
Massoneria, era, guarda caso, era un Danita! (Libro II dè Paralipomeni: II,
13-14) “Ho adunque mandato a te un uomo virtuoso e di grandissima capacità,
Hiram, mio padre, figliuolo di una donna della tribù di Dan, di
padre di Tiro, il quale sa lavorare di oro e di argento, di bronzo e di ferro e
di marmo e d’ogni specie di legno e anche di porpora e di bisso e
di scarlatto; e il quale sa fare ogni maniera d’intagli...”. Se questa
descrizione ricorda qualcosa o qualcuno, questi è sicuramente Ooliab di Dan,
l’artefice dell’Arca! La storia di Hiram è avvolta nel mistero più assoluto, il
suo modo di costruire il Tempio riporta ad antiche Scienze sconosciute ai più.
Fra le opere di Hiram ricordiamo, oltre al Mare di Bronzo, i due pilastri,
sempre in bronzo, che stavano davanti al vestibolo del Santuario. Queste due
colonne avevano una circonferenza di 12 cubiti e avevano nome Jachin e Boaz,
nomi che figurano ancora nelle tradizioni massoniche; al loro interno sarebbero
state poste le “Antiche Testimonianze” e “Il magico Shamir e la storia
delle sue proprietà”. Lo Shamir, un antico strumento che risaliva ai tempi di
Mose, chiamato “La pietra che rompe le rocce”, poteva tagliare il metallo più
duro e persino il diamante senza rumore (Come Mose aveva ordinato, era proibito
costruire i santuari con rumore di metalli). Lo Shamir era il “Dito di Dio” che
aveva inciso le Tavole della Legge? Era lo strumento col quale Ooliab di Dan
intagliava le pietre preziose? Quali e quanti erano i segreti dell’antica
Scienza di costruzione di cui Hiram era a conoscenza? Forse non si saprà mai più
(o chissà?). Hiram venne assassinato da tre suoi discepoli nel tentativo di
carpirgli questi segreti, che portò con sé. Dopo questo episodio della
costruzione del Tempio, nella Bibbia non si parlerà più dell’Arca (con due
eccezioni: Josia e Jeremia, che però ci lasciano dei sospetti di un probabile
bluff). Che fine aveva fatto l’Arca? Abbiamo provato a seguire alcune tracce
possibili: Shisak (Shesonk) – Jehoash (re d’Israele) – Oziah, re
di Juda - Nabucodonosor (re di Babilonia) – Josia (re di Juda) – Manasse
- Jeremia (Profeta d’Israele):
Shesonk (ne
parliamo in altro capitolo) era un generale dei mercenari Libu e Shardana di
stanza in Egitto, che si impossessò del potere fondando la XXII dinastia. Egli,
su invito di Jeroboam re del regno d’Israele, cioè delle 10 tribù che si erano
staccate dal regno di Roboamo di Juda, invase la Palestina, puntando dritto su
Jerusalem. Arrivato nella capitale si limitò stranamente a depredare il Tempio,
senza saccheggiare la città. Un comportamento che ci lascia il sospetto che egli
cercasse (e trovasse) qualcosa di molto più prezioso dell’intera città. Shesonk,
se non era uno Shardana, era comunque un loro generale e i Shardana erano a
conoscenza dei segreti d’Israele. Non dimentichiamo anche che Jeroboam,
perseguitato da Salomone, si rifugiò in Egitto, ospite del faraone Shesonk e una
vendetta contro chi aveva cercato di eliminarlo poteva essere proprio il
privarlo del bene più prezioso: l’Arca. Abbiamo rintracciato il
pettorale di Shesonk: riproduce il faraone assiso sopra la Barca (L’Arca)
Celeste, fra i due Cherubini. Una scena che riproduce esattamente quanto
custodito nel Sancta Sanctorum, “Dove Jawhe sedeva sul trono fra i due
Cherubini”. Pensiamo proprio che, vista l’immagine, ci voglia più
coraggio a negare che ad ammettere il collegamento con l’Arca Santa. E sentite
un poco cosa affermava Shesonk: “Ho costruito per il Dio una casa misteriosa
nella terra di Zahi... ho forgiato una grande statua che vi riposa nel mezzo...
e gli Asiatici (Israele, n.d.A.) sono venuti per portare il loro Tributo, che
per loro è divino”. Quindi Il faraone-generale aveva anche costruito un
tempio dove sistemare quanto aveva sottratto a Israele. E Israele non poteva
fare altro che recarvisi per continuare ad adorare il suo Dio. E’ da notare che
Israele adorava un Dio invisibile e che stava in ogni luogo e non vi era
bisogno di recarsi in Egitto. Se Israeliti e Judei si recavano al tempio
costruito da Shasonk, il motivo era uno solo: la presenza dell’unica cosa
visibile che essi potevano adorare: l’Arca! Qualsiasi altra immagine era,
infatti, vietata. Shesonk e la sua dinastia sembravano animati da uno strano
senso di vendetta contro qualcuno. Contro chi? Visto lo scherzetto fatto al
regno di Juda, pensiamo che ce l’avessero contro chi aveva oscurato Mose e il
culto di Aton da lui promosso. Naturalmente ci riferiamo al “primo culto”, ossia
il culto di Aton-Adonai. Il trattamento che Juda e le altre tribù riservarono a
Mose alla tribù di Dan è stato oggetto di nostre osservazioni in tante
occasioni. La conferma che c’entrassero Mose e Aton, oltre che Dan, l’abbiamo
anche da uno dei successori di Shesonk che, guarda un poco, ricostruì il
tempio di Aton a Busbastis! Il suo nome? Osorkon, lo stesso nome che
assunsero alcuni Judici di Arborea!
Jehoash
era re di Israele (delle 10 tribù del Nord) quando in Juda regnava Amasia.
Quest’ultimo, imbaldanzito da una vittoria riportata sugli Idumei sfidò Jeshoash.
La risposta, se non contenesse il disprezzo più grande, potrebbe sembrare
perfino divertente. Dal II dei Re, XIV: “Dopo questo (la vittoria
su Edom, n.d.A.) Amasia mandò ambasciatori al figlio di Joacaz, re
d’Israele, per dirgli “Vieni, misuriamoci faccia a faccia”. La risposta:
“Tu hai battuto Edom e ti sei montato la testa. Contentati della tua gloria e
sta’ a casa tua; perché vuoi tirarti addosso la sventura e rovinare te e Juda
assieme?”. Ma il giovane re insistette e si ruppe i denti, nel senso che
Israele arrivò fino alla sua capitale e saccheggiò il Tempio portandone via
l’oro e gli arredi. Ma l’Arca non è menzionata.
Oziah
(783-742 a.C.) fu protagonista di un episodio che potrebbe far pensare alla
presenza dell’Arca. (II Cronache, XXVI – 16). Oziah, insuperbito da alcune
fortunate imprese guerresche, volle entrare nel Tempio col chiaro intento di
offrire incenso al Signore. Accortosi delle sconsiderate intenzioni del re, i
sacerdoti cercarono di impedirglielo, ma il re li minacciò di morte se glielo
avessero impedito e s’accostò con l’incensiere all’altare dei profumi. Mal
gliene incolse, la lebbra lo ricoprì dalla testa ai piedi ed egli fu cacciato
dal Tempio e visse la vita isolato fino alla morte. Certo l’episodio ne ricorda
altri, dove protagonista fu l’Arca, come la Lebbra che ricoprì Miriam sorella di
Mose, o l’uccisione dei figli di Aronne “che officiarono con un fuoco non adatto
davanti all’Arca del Signore”. Ma nell’episodio di Oziah si parla solo
dell’altare dei profumi, ma l’Arca non è menzionata.
Nabucodonosor
re di Babilonia attaccò la città di David ben due volte. Nel 598 a.C. “I
Babilonesi incendiarono il Tempio di Dio, demolirono le mura di Jerusalem,
bruciarono...” (II Cronache, XXXVI-17). Anche qui l’Arca non è menzionata.
Josia,
divenne re a otto anni (640-609 a.C.) e la Bibbia racconta che fu durante il suo
regno che il gran sacerdote Elkia “trovò i Libri della Legge nel Tempio” (II
Cronache XXXIV – 14). Nel suo fervore di restauratore dell’antica Legge
religiosa, Josia stabilì i sacerdoti nelle loro funzioni e disse ai leviti che
erano consacrati al Signore “Collocate l’Arca santa nel Tempio che edificò
Salomone, figlio di David e re d’Israele. Voi non avrete più a portarla sulle
spalle...” (II Cronache XXXV). Ci sembra di capire che l’Arca non era
più nel Tempio e che Josia chieda ai Leviti di riportarvela. Ma dov’era
finita? La Bibbia non lo spiega, come non spiega se l’Arca che Jeremia disse di
aver nascosto era quella autentica. Ma forse vi è un accenno nella Bibbia che
farebbe pensare (O il suo redattore vuole far pensare) che l’Arca fosse stata
allontanata dal Tempio dal nonno di Josia: Manasse.
Manasse
commise un grande peccato agli occhi del popolo e dei sacerdoti. Egli sistemò un
idolo nel Santa Sanctorum, dando ordini ai sacerdoti di rimuovere gli antichi
oggetti di culto, e la Bibbia (il suo redattore) fa intendere che i Leviti e i
sacerdoti rimossero anche l’Arca. Ma non è chiaro se l’Arca fosse ancora a
Jerusalem. Il sospetto che ci fosse il tentativo (e il bisogno) di far
credere alla presenza dell’Arca è forte anche nell’episodio di Jeremia.
Jeremia
nato a Anatot (Anata) verso il 650 a.C. fu uno dei maggiori profeti e
soprattutto fu un sostenitore di Josia. Di lui si racconta che avrebbe nascosto
l’Arca in una caverna sul Monte Nebo (II dei Maccabei, 2): “Il Profeta,
ricevuto un divino responso, ordinò che fossero portati dietro a lui il
Tabernacolo e l’Arca, finché non giunse al Monte, sul quale era asceso Mose per
vedere l’eredità del Signore (Il Nebo? n.d.A.)”. La questione del “Monte” è
tutt’oggi aperta, dopo le scoperte su Har Karkom, la montagna situata nel Negeb,
che alcuni ritengono essere la Montagna delle Tavole della Legge. Ma per quanto
ci riguarda pensiamo che il Monte riferito a Jeremia sia il Nebo, dal quale Mose
poté vedere la Terra Promessa prima di morire. Comunque la Bibbia aggiunge che:
“Alcuni di quelli che l’avevano accompagnato, venuti in seguito per segnare
la strada con dei segni, non poterono più trovarla”. E un discorso di
Jeremia ai figli di Israele ci mette un poco di dubbi: “E quando vi sarete
accresciuti e moltiplicati nella vostra Terra, allora nessuno dirà più dov’è
l’Arca? Nessuno ci penserà più, né se ne ricorderà, né la rimpiangerà o ne
costruirà un’altra...” Sembra che Jeremia cercasse di convincere il popolo a
rassegnarsi alla perdita di qualche cosa che essi ancora cercavano...l’Arca,
che non c’era più.
Conclusioni: abbiamo notato che in alcuni di questi fatti, in cui
avvengono dei saccheggi o predazioni, non viene nominata l’Arca. Dobbiamo quindi
dedurne che essa potrebbe essere stata predata da chiunque di questi personaggi
elencati; ma uno, anzi due particolari, ci fanno propendere in particolare per
uno di essi. Questi fu il primo a razziare il Tempio e quindi potrebbe averla
presa proprio lui. Cosa che avrebbero fatto anche gli altri se solo fossero
arrivati per primi. Inoltre non possiamo credere che egli fosse all’oscuro della
presenza della Sacra Reliquia nel Tempio, per un semplice motivo: chi lo aveva
spinto ad assalire il regno di Juda e quindi la sua capitale Jerusalem, non
poteva avergli nascosto il motivo più importante che poteva spingerlo a tale
impresa. Stiamo parlando naturalmente di Shesonk. Se non crediamo che la
sua appartenenza ai mercenari dei Popoli del Mare potesse automaticamente
metterlo al corrente della presenza dell’Arca, dobbiamo almeno dare per scontato
che Jeroboam lo avesse informato. Per dovere di cronaca però dobbiamo citare un
altro “candidato”, addirittura precedente a Shesonk e molto più informato (Se
davvero è esistito), anche perché appartenente alla stessa famiglia reale, anzi
addirittura uno dei figli del Re: Menelik.
Menelik,
secondo il Kebra Negast, la Bibbia dei Falasha, sarebbe il maggior
indiziato fra i probabili trafugatori dell’Arca. Menelik era figlio di Salomone
e della regina Makeda di Saba. Alcuni studiosi, e naturalmente la Bibbia etiope,
identificano Saba con l’Etiopia e da qui mosse Menelik, una volta maggiorenne,
per far visita a suo padre Salomone. Dopo alcuni anni di permanenza a corte, con
la complicità di alcuni giovani della borghesia d’Israele, egli avrebbe portato
via l’Arca con il Tabernacolo. Sembra che uno dei complici fosse proprio il
figlio di quel sacerdote aronnita che Salomone preferì ad Abiatar dopo il
tentativo di golpe di suo fratello Adonia: Zadok. Il figlio di Zadok
condusse Menelik nel Santa Sanctorum, dove era custodita l’Arca, e fuggì in
Etiopia con altri amici, figli di cortigiani e sacerdoti, e con lo stesso
Menelik. L’Arca fu portata in Etiopia e la stirpe di Menelik divenne potente e
longeva (durò fino a Hailé Selassié, l’imperatore deposto dagli Italiani
nell’ultima guerra, poi rimesso sul trono dagli Inglesi e successivamente
deposto da un colpo di stato). Successivamente l’Arca avrebbe conosciuto nei
secoli diverse collocazioni, anche per scampare a tentativi di saccheggio.
Graham Hancock, nel suo “Il mistero del Sacro Graal” (Ed. Piemme 1996),
dice di averne rintracciato il cammino e le sedi. Vediamo.
Tana
Kirkos, sul lago Tana (Dana in Asianico e in Sardo). Qui l’Arca
sarebbe stata, per un lungo periodo, custodita da coloro che si dice discendano
dalla Misteriosa Tribù di Dan. Ma la sede originaria sembra fosse
un tempio nell’isola Elefantina, nei pressi di Assuan, da dove i Falasha
(Gli Ebrei Neri) sarebbero scappati, rifugiandosi nel Tana, in seguito alla
distruzione del loro tempio intorno al 410 a.C. a Tana Kirkos, sul lago
Tana, fu custodita dai Falasha dentro una tenda. Un certo re Ezana
(330 d.C. circa), convertito al Cristianesimo da un giovane missionario siriano
chiamato Frumentium o Frumentum, fece battezzare i suoi sudditi, compresi forse
i Falasha, che però continuarono i loro antichi riti anche con la nuova
religione.....