UN DECIMO PIANETA CHE NON È... IL "DECIMO PIANETA"

Fonte: Elena da Bologna

Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare di scoperte di nuovi pianeti o corpi celesti che possono essere considerati come facenti parte del nostro sistema solare, a cui si sono aggiunte anche scoperte, altrettanto importanti, di pianeti extrasolari di dimensioni ragguardevoli e situate in costellazioni o sistemi anche molto distanti dalla terra.

Si tratta di importanti scoperte a livello scientifico che hanno portato una certa confusione nell’ambito giornalistico, poiché si è verificata la corsa all’annuncio della scoperta del decimo pianeta del sistema solare. Il motivo per cui negli ultimi anni si sia giunti a queste importanti novità nell’astronomia è legato al grande sviluppo tecnologico delle strumentazioni scientifiche (telescopi, programmi di calcolo e di osservazione ecc.) che hanno permesso di rendere più veloce lo studio della sfera celeste e le osservazioni astronomiche.
Vediamo una breve panoramica dei corpi celesti più importanti scoperti in questi ultimi anni.

QUAOAR (2002 LM60)
Questo corpo celeste, situato nella Cintura di Kuiper (la zona dello spazio oltre Nettuno dalla quale provengono la maggior parte delle comete periodiche), è stato osservato a partire dal 2002 dallo staff di astronomi del Caltech (Chad Trujillo e Mike Brown) di Pasadena e la prima foto fu scattata il 4 giugno 2002. Dalle osservazioni effettuate si è potuto appurare che ha un diametro di circa 1.250 km, approssimativamente come Caronte (satellite di Plutone). Il planetoide dista all’incirca 42 UA (Unità Astronomiche, pari a circa 150 milioni di km) dalla terra, cioè oltre 6 miliardi di km e presenta un’orbita pressappoco circolare, con un’eccentricità e = 0,04 e un ciclo di rivoluzione intorno al sole pari a 285 anni terrestri; inoltre l’orbita del planetoide risulta essere inclinata di circa 8° rispetto al piano dell’eclittica.
Le osservazioni iniziarono già nel 2001 e il planetoide fu scoperto dopo attente analisi di una porzione del cielo effettuate per oltre 6 mesi con un telescopio semiautomatico (Oschin telescope).
Gli studiosi dibattono anche su quella che possa essere la composizione chimico-fisica del pianeta. Si suppone che come gli ultimi pianeti del sistema solare sia composto da roccia e ghiaccio, nella cui struttura entrerebbero metano, monossido e diossido di carbonio e altri elementi minori.
Allo stato attuale delle nostre conoscenze gli astronomi del Caltech di Pasadena tenderebbero ad escludere l’ipotesi di considerare Quaoar come un pianeta, mentre sembra più consona la classificazione come KBO (Kuiper belt object), cioè come oggetto della Cintura di Kuiper, zona dello spazio in cui sono già stati individuati altri piccoli planetoidi come Varuna e 2002 AW197 che hanno pressappoco un diametro sui 900 km. Il nome Quaoar, attribuito a 2002 LM60, deriva dalla mitologia degli indiani Tongva che vissero nelle praterie dell’America occidentale prima dell’arrivo degli inglesi e degli spagnoli.

SEDNA (2003 VB12)
Questo planetoide, il cui nome è quello di una divinità degli Inuit, è stato scoperto dopo attente osservazioni nel novembre del 2003, dallo staff di astronomi guidati dal Prof. Brown del Caltech di Pasadena insieme al Dott. Chad Trujillo e David Rabinovitz della Yale University.
La scoperta avvenne con l’impiego dell’Oschin telescope da 48 pollici situato presso l’osservatorio astronomico di Palomar in California, e fu suffragata da ulteriori osservazioni effettuate anche presso altri osservatori sparsi in tutto il mondo.
Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche disponibili sappiamo con certezza che Sedna ha un diametro maggiore rispetto a Quaoar (1.700-1800 km contro i 1.250 circa di Quaoar), con un periodo di rotazione di circa 40 giorni (ciò fa supporre che abbia un satellite).
Ciò che caratterizza concretamente Sedna rispetto agli altri pianeti del sistema solare è la sua orbita fortemente ellittica, che porta il planetoide approssimativamente ad avere un periodo di rivoluzione intorno al sole di circa 10.500 anni, con una distanza al perielio di circa 76 UA, circa 13 miliardi di km (nel punto più vicino al sole), contro una distanza afelica di circa 850 UA, oltre 127 miliardi di km.
Nonostante le caratteristiche, gli studiosi non sono propensi ad attribuire a Sedna la qualifica di pianeta nel senso classico, quanto piuttosto quella di planetoide, nel senso di corpo celeste formato da roccia e ghiaccio che si è modellato in forma sferica; esso non può essere considerato neppure alla stregua dei KBO, gli oggetti formati da roccia e ghiaccio presenti nella zona dello spazio oltre Nettuno, poiché questi generalmente tendono a muoversi in un orbita piuttosto limitata, scendendo al perielio ad una distanza di circa 35-50 UA, mentre Sedna nella sua orbita intorno alla nostra stella non scende mai al di sotto delle 76 UA. Questa caratteristica orbitale di Sedna ha fatto addirittura supporre agli astronomi che possa esistere, ad una distanza di circa 70 UA dal Sole, un altro pianeta di dimensioni abbastanza grandi (come Marte o la Terra) tale da perturbare l’orbita di Sedna, mentre altre ipotesi che sono state fatte per le geometrie orbitali di Sedna sono legate al possibile transito in epoche antiche di stelle che avrebbero modificato in modo notevole la sua orbita.
Comunque sia, un dato estremamente interessante è la notevole distanza di Sedna rispetto agli altri corpi del sistema solare, al punto che gli astronomi americani hanno preso in considerazione l’ipotesi che si tratti di uno dei primi corpi celesti scoperti nella parte interna della Nube di Oort, la zona dello spazio esterna al sistema solare nella quale si trovano migliaia di corpi celesti come comete che periodicamente entrano e attraversano il sistema solare, a causa presumibilmente delle perturbazioni gravitazionali provocate dal transito di stelle in prossimità della nube stessa. Sotto questo aspetto gli astronomi del Caltech ritengono che all’inizio della formazione del sistema solare la nube di Oort si formò per il raffreddamento del materiale originario della nube primordiale, con migliaia di piccoli corpi ghiacciati che venivano lentamente espulsi dal sistema solare interno a causa della perturbazione gravitazionale dei pianeti maggiori, ma nel momento in cui si allontanavano dal sole subirono l’effetto gravitazionale di altre stelle ravvicinate che ne avrebbero impedito l’espulsione e le avrebbero trattenute nella zona dello spazio intermedia che è divenuta la nube di Oort (che si trova all’incirca tra gli 0,8 e 2,4 anni luce dal sole); nube che si estende quindi fino approssimativamente a metà della distanza del sistema stellare più vicino (Alpha Centauri).
Questa ipotesi spiegherebbe secondo gli astronomi la sorte toccata a Sedna, che avrebbe subito lo stesso effetto gravitazionale che ne avrebbe turbato l’orbita, con l’ulteriore ipotesi però che le stelle fossero abbastanza ravvicinate, al punto da ipotizzare che il Sole si sia formato in un gruppo compatto di stelle (che poi si sarebbe "disperso" nello spazio).
Sedna rimane l’oggetto di gran lunga più importante scoperto negli ultimi anni (insieme a 2003 UB 313), sia per la sua distanza, che rappresenta un primo passo per la dimostrazione dell’esistenza della Nube di Oort, sia per l’importanza della sua scoperta che allarga gli orizzonti della nostra conoscenza sui corpi celesti del nostro sistema solare, con l’indubbio vantaggio che questo permetterà anche di giungere ad una migliore spiegazione della genesi del sistema solare.
L’importanza della scoperta di Sedna è legata anche allo studio della sua composizione che ha già destato delle sorprese fra gli studiosi. Infatti ci si aspettava che il planetoide, essendo relativamente luminoso, avesse una superficie ghiacciata composta prevalentemente da metano o ghiaccio d’acqua con elementi come monossido di carbonio e altri tipici elementi di questi corpi ghiacciati. Le osservazioni realizzate dagli astronomi con i telescopi hanno messo in luce che Sedna sembra avere una superficie che ricorda quella di Marte; comunque è un pianeta "rosso", uno dei più rossi del sistema solare. Resta il mistero su come ciò sia possibile e lo studio del pianeta permetterà nei prossimi anni di risolvere molti degli enigmi che già si accavallano su questa scoperta.

2003 UB 313 - PIANETA X
Lo possiamo definire temporaneamente così poiché non esiste, al di là della sigla 2003 UB 313, un nome attribuito a questo planetoide scoperto dallo staff di Mike Brown del Caltech di Pasadena insieme ai suoi collaboratori tra il 2003 e il 2004; la notizia, tuttavia, è stata ufficializzata alla fine di luglio 2005, prima delle reali intenzioni dello staff di Brown, per paura che qualcuno potesse far filtrare la scoperta rubando il merito agli astronomi americani.
La scoperta è stata realizzata studiando le immagini riprese dal telescopio di Monte Palomar in California e rispetto alle altre scoperte realizzate in questi ultimi anni 2003 UB 313 ha riservato notevoli sorprese per quanto riguarda i suoi parametri orbitali e le sue dimensioni.
Innanzitutto è importante precisare che 2003 UB 313 presenta un moto molto lento ed appare quasi fermo rispetto allo sfondo stellato, per cui per poterlo fotografare sono state impiegate molte giornate di lavoro.
Per quanto riguarda la sua orbita, i calcoli realizzati dagli astronomi hanno messo in luce che 2003 UB 313 presenta una distanza media dal sole di circa 67 UA (cioè circa 10 miliardi di km), con il perielio posto a circa 37,7 UA (circa 5,6 miliardi di km) e l’afelio a circa 97,6 UA (circa 14,6 miliardi di km); il periodo di rivoluzione dell’orbita planetaria di 2003 UB 313 è pari a circa 557 anni, con un’orbita fortemente ellittica rispetto a quella degli altri pianeti del sistema solare (eccentricità e = 0,44). Inoltre il pianeta presenta un’inclinazione rispetto al piano dell’eclittica pari a 44,1° circa (contro i 23,5° della terra).
Le osservazioni effettuate con telescopi all’infrarosso hanno permesso di verificare che sulla superficie di 2003 UB 313 si trova del metano allo stato solido, date le basse temperature, cosa che lo accomuna a Plutone. Essendo il metano un composto volatile, la sua presenza sulla superficie di 2003 UB 313 dimostra che finora il pianeta ha orbitato a distanze dal Sole tali per cui le basse temperature non hanno permesso lo scioglimento del ghiaccio stesso.
Quello che sorprende di 2003 UB 313 sono le sue dimensioni, superiori a quelle di Plutone (considerato l’ultimo pianeta del sistema solare); infatti presenta un diametro stimato fra i 2.500 e i 3.200 km (1,5 volte quello di Plutone), valore che non è ancora stato calcolato in modo esatto, non essendo ancora disponibili alcuni dati indispensabili (come l’albedo, la capacità del corpo celeste di riflettere la luce); tuttavia è dato per certo che con un albedo inferiore a 1,0 avrebbe un diametro non superiore a 3.550 km, di gran lunga maggiore di quello di Plutone.
La scoperta di 2003 UB 313 riapre il dibattito sulla classificazione dei pianeti del sistema solare, dato che essendo di maggiori dimensioni rispetto a quelle di Plutone - e Plutone è considerato un pianeta - a maggior ragione deve esserlo considerato anche 2003 UB 313.
Di fatto siamo di fronte alla scoperta del decimo pianeta del sistema solare, anche se questo non è il decimo pianeta (di grandi dimensioni) che gli scienziati e studiosi appassionati sperano di trovare.

LA DISPUTA SULLA CLASSIFICAZIONE DEI PIANETI
La classificazione dei pianeti del sistema solare ha creato delle vere e proprie dispute accademiche tra gli astronomi che discutono su come debba essere considerato un pianeta come Plutone, che ha un diametro più piccolo di quello della Luna.
È già stato più volte messo in luce che le sue caratteristiche fisiche e i suoi parametri orbitali lo rendono più simile ai KBO (Kuiper Belt Objects), avendo un’orbita fortemente ellittica, che in alcuni periodi risulta più interna a quella di Nettuno, e un’inclinazione anomala rispetto agli altri pianeti del sistema solare. Tuttavia l’Unione Astronomica Internazionale, per ragioni di tipo storico, legate al fatto che la scoperta di Plutone risale al 1930 e considerando che fu scoperto perché visibile con lo stato della tecnologia di quell’epoca, ha preferito mantenere la denominazione di Pianeta per Plutone, con tutte le conseguenze che derivano da questa scelta per le future scoperte di planetoidi simili.
Poiché nel frattempo si è giunti a compiere queste nuove scoperte, il problema di come considerare questi corpi celesti al confine del sistema solare si è ripresentato più urgente di prima. Appare ovvio che se l’UAI continuerà a considerare Plutone come il nono pianeta del sistema solare, allora 2003 UB 313 dovrà diventare il decimo pianeta, a cui probabilmente nei prossimi anni se ne affiancheranno altri che nel frattempo verranno scoperti. Resta infatti sottinteso che gli astronomi sono alla caccia di altri pianeti non ancora scoperti in quella remota zona del sistema solare speranzosi di poter realizzare al più presto scoperte ancora più importanti di quelle fin qui descritte.
In particolare sembra degna di nota l’ipotesi messa in campo dagli astronomi sulla presenza di un pianeta (delle dimensioni di Marte) a circa 70 UA dal sole (circa 10,5 miliardi di km) che potrebbe aver perturbato fortemente l’orbita di Sedna, ma che gli studiosi non sono ancora riusciti ad individuare.
Considerando che queste scoperte sono state realizzate scandagliando una zona del cielo compresa fra il 5% e il 15% del totale, resta elevato l’ottimismo degli astronomi di poter realizzare al più presto nuove sorprendenti scoperte.

Fonte:

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