ATLANTIDE E I MITI DELLE CATASTROFI RICORRENTI (II)

Fonte: Il Sito del Mistero

Amnesia

L’uomo ha la tendenza a dimenticare il passato, quindi la persistenza di questo mito dimostra l’eccezionalità dell’evento diluvio. Non ci interessa focalizzarci sul singolo fatto, ma sulle teorie cicliche delle catastrofi. La diffusione di tale teorie in vari popoli, potrebbe dimostrare le difficoltà che ha incontrato l’uomo nel creare una civiltà, il passaggio da uomo raccoglitore-cacciatore a uomo agricolo, stanziale, con precise conoscenze agricole, matematiche e astronomiche e sulla conservazione dei cibi e altre. Questo processo può essere avvenuto più volte, in vari parti del mondo e puntualmente una catastrofe, un'epidemia, un terremoto o altro ha distrutto sul nascere tali tentativi. L’uomo ha dovuto ricominciare daccapo, fintanto che le conoscenze acquisite si siano diffuse e il numero degli uomini aumentato, fattore da non trascurare.

Il progresso umano non è un processo lineare come molti libri di storia lasciano intendere. Alcune scoperte l’uomo le ha dovuto fare più volte. Anzi lo stesso processo scientifico si basa sulla distruzione del saper precedente. Da un articolo del Il Sole-24Ore: “Sul versante della
critica interna ai processi di produzione, Lévy-Lleblond osserva per prima cosa che la scienza dimentica il proprio passato ed è costretta a riscoprirlo, sprecando tempo e sforzi. Poiché costruisce sapere sulla distruzione di quello precedente, la sua smemoratezza le è stata utile, ma ora è talmente sistematica da diventare controproduttiva. La dinamica dei fluidi, un campo già dissodato dai matematici dei primi del secolo, ha dovuto essere riconquistata con fatica; la malattia dell’olmo ha ucciso milioni di alberi negli anni ’70 ma si sapeva come curarla dal secolo scorso; perfino la scoperta che la gastrite è un malattia infettiva era già avvenuta un secolo fa.”(3)

Un altro brano tratto da un articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno: “Alcune innovazioni sono già state fatte decenni fa e alcuni insuccessi erano già prevedibili: la pericolosità e la tossicità del piombo tetraetile – l’antidetonante delle benzine ormai quasi definitivamente eliminato dalle benzine in commercio, quelle che si chiamano “con piombo” – erano ben conosciute da chi aveva scoperto la nuova sostanza negli anni venti del Novecento. Alcuni processi per diminuire l’inquinamento atmosferico erano già stati inventati nella metà dell’Ottocento e poi accantonati. Gli attuali processi di riciclo dei rottami metallici sono stati inventati un secolo e mezzo fa.”(4)

Come si evince da questi passi l’uomo ha la spiccata tendenza a dimenticare. Se questo è avvenuto nel nostro mondo industrializzato e scientifico è certo che in una civiltà primitiva è accaduto con proporzioni ancora maggiori.

Difficoltà del progresso

“Fin dall’alba della storia gli uomini hanno dovuto fare lavori terribilmente faticosi. Tutto questo ha ritardato non poco l’evoluzione umana. Quanti di quelli che dovevano lavorare come bestie nei campi sarebbero potuti diventare degli Aristotele o dei Michelangelo, degli Shakespeare o dei Beethoven? Ma non fu mai insegnato loro altro che il necessario a compiere i loro stupidi lavori. Dovettero essere mantenuti in uno stato di inferiorità per necessità economiche.” The Sendai, 1980 William Woolfolk.

Questo brano tratto da un libro di fantascienza in cui si racconta la nascita di una razza di schiavi per alleviare l’uomo dalla fatica del lavoro, mette bene in evidenza le difficoltà del progresso. Il progresso richiede risorse. L’uomo per progredire ha bisogno della spinta dell’ambiente, delle difficoltà per pensare sistemi per sottrarsene, ma ha anche bisogno di tempo e di risorse per studiare e trovare una soluzione. Questo non sempre è stato possibile. Spesso l’uomo assorbito dalle fatiche della sopravvivenza non avuto i mezzi per progredire.

Dopo l’ultima glaciazione, il miglioramento del clima ha portato delle condizioni di vita migliori per l’uomo. L’uomo è diventato stanziale e si ha avuto un incremento demografico. Piccoli villaggi di 150-200 persone di raccoglitori, pescatori o cacciatori. L’essere stanziali ha portato all’osservazione dei cicli vegetali e della scoperta di come l’acqua sia fondamentale per le piante. La prima pratica agricola sarà stata l’innaffiamento di campi selvatici. Poi ci sarà stata la scoperta dei semi e la nascita di vere e proprie pratiche agricole. E così per l’allevamento. L’essere stanziali è un prerequisito fondamentale, ma anche la numerosità. Questo spiega la crescita esponenziale delle conoscenze umane avvenuta solo negli ultimi millenni. Prima l’uomo era impossibilitato a fare certe scoperte. Inoltre c’è un problema di massa critica. La conquista delle prime conoscenze ha comportato sforzi maggiori delle scoperte avvenute dopo. E’ come una bomba atomica quando c’è l’innesco c’è una esplosione catastrofica, ma senza innesco il tutto rimane inerte. Il numero degli uomini è importante, perché una scoperta per essere tramandata con sicurezza deve essere diffusa. Immaginate un’epidemia che porti alla scomparsa del primo villaggio dove è stata scoperta l’agricoltura. Bisogna ricominciare tutto da daccapo. Ma se invece la scoperta viene diffusa al villaggio vicino e poi ad altri fino ad essere diffusa in un ampio areale la possibilità che tale conoscenza scompaia si riducono notevolmente.

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