ATLANTIDE E I MITI DELLE CATASTROFI RICORRENTI (II)
Vito Foschi
Fonte: Il Sito del Mistero
17/03/2016 12:23:15
Amnesia
L’uomo ha la tendenza a dimenticare il passato, quindi la persistenza
di questo mito dimostra l’eccezionalità dell’evento diluvio.
Non ci interessa focalizzarci sul singolo fatto, ma sulle teorie cicliche delle
catastrofi. La diffusione di tale teorie in vari popoli, potrebbe dimostrare
le difficoltà che ha incontrato l’uomo nel creare una civiltà,
il passaggio da uomo raccoglitore-cacciatore a uomo agricolo, stanziale, con
precise conoscenze agricole, matematiche e astronomiche e sulla conservazione
dei cibi e altre. Questo processo può essere avvenuto più volte,
in vari parti del mondo e puntualmente una catastrofe, un'epidemia, un terremoto
o altro ha distrutto sul nascere tali tentativi. L’uomo ha dovuto ricominciare
daccapo, fintanto che le conoscenze acquisite si siano diffuse e il numero degli
uomini aumentato, fattore da non trascurare.
Il progresso umano non è un processo lineare come molti libri di storia
lasciano intendere. Alcune scoperte l’uomo le ha dovuto fare più
volte. Anzi lo stesso processo scientifico si basa sulla distruzione del saper
precedente. Da un articolo del Il Sole-24Ore: “Sul versante della
critica interna ai processi di produzione, Lévy-Lleblond osserva per
prima cosa che la scienza dimentica il proprio passato ed è costretta
a riscoprirlo, sprecando tempo e sforzi. Poiché costruisce sapere sulla
distruzione di quello precedente, la sua smemoratezza le è stata utile,
ma ora è talmente sistematica da diventare controproduttiva. La dinamica
dei fluidi, un campo già dissodato dai matematici dei primi del secolo,
ha dovuto essere riconquistata con fatica; la malattia dell’olmo ha ucciso
milioni di alberi negli anni ’70 ma si sapeva come curarla dal secolo
scorso; perfino la scoperta che la gastrite è un malattia infettiva era
già avvenuta un secolo fa.”(3)
Un altro brano tratto da un articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno:
“Alcune innovazioni sono già state fatte decenni fa e alcuni insuccessi
erano già prevedibili: la pericolosità e la tossicità del
piombo tetraetile – l’antidetonante delle benzine ormai quasi definitivamente
eliminato dalle benzine in commercio, quelle che si chiamano “con piombo”
– erano ben conosciute da chi aveva scoperto la nuova sostanza negli anni
venti del Novecento. Alcuni processi per diminuire l’inquinamento atmosferico
erano già stati inventati nella metà dell’Ottocento e poi
accantonati. Gli attuali processi di riciclo dei rottami metallici sono stati
inventati un secolo e mezzo fa.”(4)
Come si evince da questi passi l’uomo ha la spiccata tendenza a dimenticare.
Se questo è avvenuto nel nostro mondo industrializzato e scientifico
è certo che in una civiltà primitiva è accaduto con proporzioni
ancora maggiori.
Difficoltà del progresso
“Fin dall’alba della storia gli uomini hanno dovuto fare lavori
terribilmente faticosi. Tutto questo ha ritardato non poco l’evoluzione
umana. Quanti di quelli che dovevano lavorare come bestie nei campi sarebbero
potuti diventare degli Aristotele o dei Michelangelo, degli Shakespeare o dei
Beethoven? Ma non fu mai insegnato loro altro che il necessario a compiere i
loro stupidi lavori. Dovettero essere mantenuti in uno stato di inferiorità
per necessità economiche.” The Sendai, 1980 William Woolfolk.
Questo brano tratto da un libro di fantascienza in cui si racconta la nascita
di una razza di schiavi per alleviare l’uomo dalla fatica del lavoro,
mette bene in evidenza le difficoltà del progresso. Il progresso richiede
risorse. L’uomo per progredire ha bisogno della spinta dell’ambiente,
delle difficoltà per pensare sistemi per sottrarsene, ma ha anche bisogno
di tempo e di risorse per studiare e trovare una soluzione. Questo non sempre
è stato possibile. Spesso l’uomo assorbito dalle fatiche della
sopravvivenza non avuto i mezzi per progredire.
Dopo l’ultima glaciazione, il miglioramento del clima ha portato delle
condizioni di vita migliori per l’uomo. L’uomo è diventato
stanziale e si ha avuto un incremento demografico. Piccoli villaggi di 150-200
persone di raccoglitori, pescatori o cacciatori. L’essere stanziali ha
portato all’osservazione dei cicli vegetali e della scoperta di come l’acqua
sia fondamentale per le piante. La prima pratica agricola sarà stata
l’innaffiamento di campi selvatici. Poi ci sarà stata la scoperta
dei semi e la nascita di vere e proprie pratiche agricole. E così per
l’allevamento. L’essere stanziali è un prerequisito fondamentale,
ma anche la numerosità. Questo spiega la crescita esponenziale delle
conoscenze umane avvenuta solo negli ultimi millenni. Prima l’uomo era
impossibilitato a fare certe scoperte. Inoltre c’è un problema
di massa critica. La conquista delle prime conoscenze ha comportato sforzi maggiori
delle scoperte avvenute dopo. E’ come una bomba atomica quando c’è
l’innesco c’è una esplosione catastrofica, ma senza innesco
il tutto rimane inerte. Il numero degli uomini è importante, perché
una scoperta per essere tramandata con sicurezza deve essere diffusa. Immaginate
un’epidemia che porti alla scomparsa del primo villaggio dove è
stata scoperta l’agricoltura. Bisogna ricominciare tutto da daccapo. Ma
se invece la scoperta viene diffusa al villaggio vicino e poi ad altri fino
ad essere diffusa in un ampio areale la possibilità che tale conoscenza
scompaia si riducono notevolmente.